Più lo guardi e più ti senti interpellato. Lo scatto si intitola “Il risveglio di Eva”, immortala una giovanissima migrante armena, affetta da stato catatonico causatole dalla sindrome da rassegnazione, una grave patologia (ancora largamente misteriosa) che colpisce soggetti rimasti vittima di forti stress psicologici.

Nei grandi occhi della ragazza, il ricordo di esperienze ancora troppo dolorose. Segni che con tutta probabilità non andranno mai via. A scattare la foto, che gli è valsa il World Press Photo 2020 nella sezione “Ritratti”, è stato Tomek Kaczor. Il premio ha fatto conoscere al mondo la storia di Eva, una ragazza armena di 15 anni che, di recente, si è miracolosamente svegliata ed è tornata a scuola. Kaczor ha ritratto la ragazza il 17 agosto 2019 seduta su una sedia a rotelle, con il sondino per l’alimentazione, affiancata dai suoi genitori, in un centro di accoglienza per rifugiati a Podkowa Leśna, in Polonia. Tomek ha lavorato come fotografo freelance per oltre 12 anni pubblicando tanti reportage sui diritti delle minoranze nel mondo. Vive e lavora a Varsavia, dove si è laureato in Studi Culturali presso l’Istituto Polacco di Cultura.

È lo stesso fotografo polacco a raccontare cosa lo ha spinto ad immortalare l’immagine decretata come il ritratto dell’anno 2020. «Tutto è nato per caso. Quando mi sono trovato davanti Eva al centro di accoglienza sono stato folgorato dai suoi occhi. Ho cercato di essere il più delicato possibile e di non stressare la famiglia con la macchina fotografica. A un certo punto ho visto il gesto di protezione dei genitori verso la figlia. Quelle mani incrociate che la proteggono per farla sentire al sicuro. Ho chiesto loro di non cambiare posizione e ho scattato il primo piano. A casa, ho deciso, tra i tanti scatti fatti, che questa sarebbe stata la mia scelta finale per la foto. Penso che ci si possano leggere cose diverse: la forza di Eva, ma anche quel qualcosa di oscuro e traumatico che le è successo. Posso anche vedere la grande forza come famiglia in quelle mani che abbracciano la figlia». È certamente un’immagine che sfiora il mistero. I suoi occhi sono folgoranti, dalle mani ti senti difeso, il volto grida speranza, la collanina con il nome di Eva implora di potere uscire dall’incubo.

La giovane armena è stata colpita dalla sindrome di rassegnazione mentre la sua famiglia cercava di ottenere l’asilo in Svezia, con la minaccia di espulsione in Polonia. Durante tutte queste procedure nel paese scandinavo, il colloquio con i servizi di immigrazione e un altissimo livello di stress, Eva ha iniziato a rinunciare tutto: ha smesso di mangiare, bere, parlare e alzarsi dal letto, fino a finire in questo stato catatonico.

«Ai primi sintomi di Eva, la sua famiglia non ha capito nulla perché non era a conoscenza dell’esistenza di questa sindrome – afferma Tomek – ma i medici la conoscevano, perché dal 2000 a loro sono arrivati molti casi come quello della giovane armena e sapevano cosa fare, anche se per loro era difficile spiegare questa sindrome, a causa della lingua. Bisognava calmare la famiglia, cercare di mantenere il ritmo della giornata, parlare con la figlia anche se non si aveva risposta, nutrirla con cibo speciale attraverso il tubo nasale, fare spesso dei massaggi e cambiare posizione, ma senza usare alcun medicinale».

La sindrome rende i pazienti passivi, immobili, muti, incontinenti, incapaci di mangiare, bere e di rispondere a qualsiasi stimolo fisico o di dolore e, nei casi più gravi, si ritrovano in coma per mesi. Colpisce i bambini e gli adolescenti, figli di rifugiati nel corso dei lunghi processi a cui le famiglie sono sottoposte per ottenere l’ asilo, con il rischio di essere rimpatriati. Sembra che questa sindrome sia più diffusa tra i bambini rom, yazidi e dei balcani.

Il fotografo polacco ha ancora contatti con l’eroina della sua fotografia. Dopo otto mesi in questo stato, Eva, è tornata a vivere e quando Kaczor l’ha incontrata tre mesi addietro «era ancora debole, ma pienamente cosciente», ma aveva riacquistato l’amore per le lingue, il disegno e la matematica e aspettando che la sua situazione legale fosse risolta.Era tornata ad essere la ragazza che l’emigrazione forzata ha cercato di spegnere, ora va a scuola, parla polacco, si è integrata e cerca di vivere la sua vita il più normalmente possibile, anche se la situazione della sua famiglia è ancora sospesa.

La loro richiesta di asilo è stata negata, hanno fatto appello e ora stanno di nuovo aspettando. La foto comunque ha smosso le acque di tanti richiedenti protezione internazionale nel mondo.

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