All’estero la cultura del buon cibo è da sempre sinonimo di Italia. La fama dei nostri prodotti IGP o DOP precede e spesso supera quella dei luoghi d’origine. Sono marchi garantiti dalle istituzioni nazionali e comunitarie, e per i consumatori sinonimo di qualità. Tra i 300 alimenti riconosciuti tipici del made in Italy, una trentina sono siciliani. Ma il nostro agrume giallo non è tra questi, «nonostante l’iter europeo sia quasi giunto a termine», spiega Renato Maugeri, presidente del consorzio dei produttori etnei

L’associazione Limone dell’Etna, un consorzio che conta una cinquantina di produttori, è impegnata da anni affinché il proprio prodotto entri nel novero delle tipicità regionali. Marchi come IGP e DOP costituiscono una garanzia per il consumatore. Sono anche indice di professionalità e impegno da parte di produttori che trovano nell’eccellenza del prodotto e nell’unicità delle tecniche di produzione strumenti per primeggiare nel mercato globale. La candidatura come prodotto tipico dei limoni etnei ha di recente ricevuto l’approvazione del disciplinare da parte del ministero delle Politiche agricole, e abbiamo chiacchierato con Renato Maugeri, presidente dell’associazione, su cosa battaglie imprenditoriali come questa possono significare per il comparto agricolo nostrano.

ESSERE COMPETITIVI. Anche se l’agrumicoltura siciliana ha superato la crisi degli anni ottanta, con la chiusura dei mercati dell’Europa orientale, si presentano nuove sfide. «I limoni che si trovano sui nostri scaffali in estate, ad esempio, sono per la maggior parte argentini», spiega Maugeri. Ovvero, il mercato è ormai globale e gli attori esteri hanno innumerevoli vantaggi: dalla capacità di riempire i vuoti della stagionalità, al volume di merci a basso costo che sono capaci di mettere sul mercato, passando per maggiori disponibilità di acqua e manodopera a basso costo.

Renato Maugeri (al centro) – fonte: La Sicilia

«Per questo il marchio IGP è fondamentale – continua Maugeri – Ci permette di puntare tutto sulla qualità del prodotto». Come per tanti altri prodotti IGP o DOP, anche per il verdello, fiore all’ occhiello della produzione del consorzio, il marchio garantisce al consumatore non solo tracciabilità e sicurezza delle procedure di produzione, ma «annoda le qualità organolettiche del prodotto, con il territorio, la sua storia e le tecniche produttive da essa tramandate». La fioritura estiva della pianta è un esempio di questo sapere assolutamente peculiare: solitamente evitata, dal momento che dà frutti inutilizzabili, è invece indotta di proposito e sapientemente curata dai coltivatori dell’area che va da Acicastello a Castiglione al fine di avere un prodotto unico.

COLTIVARE FACENDO IMPRESA. Le peculiarità del territorio, il clima, la composizione del terreno, hanno un ruolo determinante nella realizzazione di un prodotto unico. «L’altra componente – prosegue – è dismettere una volta per tutte l’idea che un terreno sia una rendita parassitaria al pari di un immobile». Ottenere ricavi o rimanere competitivi nel mercato globale, richiede quindi che si profonda nella coltivazione lo stesso impegno, in termini di conoscenze, di pianificazione, di creazione di un brand, che si riverserebbe in qualunque altra attività imprenditoriale.

Questa è al tempo stesso una straordinaria opportunità per il territorio e per i suoi abitanti: «credo che la riattivazione di piccoli appezzamenti abbandonati potrebbe essere una straordinaria fonte di occupazione, anche giovanile» secondo il dott. Maugeri. Le condizioni economiche, a suo avviso ci sono tutte: con il mercato che da anni premia sia il verdello sia il limone siciliano, anche un solo ettaro, se coltivato sapientemente, può ripagare molto presto l’investimento; lo stesso territorio Acese gode della presenza della maggior parte delle infrastrutture necessarie ad un’impresa agricola; ma anche il know-how è qualcosa che è nell’interesse di consorzi come quello presieduto dal dott. Maugeri condividere.

Dopotutto «il limone ha, storicamente, contribuito in larga parte al benessere di Acireale» e, come la recente approvazione del disciplinare da parte del ministero delle Politiche agricole dimostra, trattandosi del penultimo step dell’iter per ottenere la certificazione dell’Unione Europea, è uno sforzo collettivo i cui benefici ricadono su l’intero territorio.

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