Esiste una statua, in Sicilia, dalla posa piuttosto peculiare. Raffigura un uomo fiero ed intrepido. La sua bocca spalancata, come se stesse gridando, invocando, incitando. Le sue braccia possenti, che grazie ad un gesto maestoso hanno appena spezzato una catena. La si può scorgere passeggiando per le strade di Enna, nei pressi dell’imponente Castello di Lombardia. Ai suoi piedi una lapide commemorativa ci riporta ad un tempo lontano, dove il ricordo abbraccia mito e leggenda. Ad un tempo in cui i Romani, sostituitisi ai Greci, imperversavano incontrastati come padroni della nostra isola. Non tutti sanno che quel monumento non è appena una singolare decorazione, ma il contrassegno di un evento oggi caduto nella penombra della memoria. Non tutti sanno che a dare il volto a quella statua fu l’eroe siciliano Euno. E che a lui dobbiamo una delle prime lotte per l’uguaglianza sociale.

Era originario della Siria, Euno, lo schiavo che osò sognare un mondo privo di prepotenze, che osò vedere ciò che gli altri nemmeno immaginavano. Nel II sec. a.C, d’altronde, bastava nascere nel posto sbagliato per risultare perennemente condannati: la libertà non era un diritto, ma un privilegio appannaggio di pochi. Tra questi, come racconta Diodoro Siculo, vi era il meschino Damofilo, facoltoso latifondista e padrone, tra gli altri, proprio di Euno. Fu la sua crudele condotta a scatenare le ire dei suoi sottoposti, sfruttati e derisi: in breve tempo, questi lo tolsero di mezzo ed elessero Euno a capo dell’ambizioso movimento di liberazione. Ben presto la spinta sovversiva abbracciò gran parte dell’isola: venerato e rispettato come un vero Re, Euno raccolse intorno a sé sempre più uomini ed armi, dando vita ad una corte che andava sbaragliando tutti i proprietari terrieri romani più corrotti. La sua avanzata fu inesorabile, quasi quanto l’ispirazione prodotta in tutta la Sicilia: a dargli manforte, infatti, giunse un altro gruppo di schiavi rivoluzionari, quello agrigentino guidato da Cleone. Nemmeno Roma potù più ignorare quel grido. Nel 135 a.C fu inviato un contingente di 8.000 uomini: a dispetto delle attese, nei pressi di Taormina l’esercito dei ribelli inflisse loro una sconfitta memorabile. Ci vollero tre anni perché la Città Eterna avesse ragione di semplici contadini: proprio a Enna, il console Publio Rupilio catturò e trucidò tutti i capi della rivolta, ma anche i cittadini colpevoli di aver fatto resistenza. Solo Euno scampò momentaneamente alla morte: ma solo per trovarla, qualche anno dopo, presso le carceri di Morgantina, dopo essere stato catturato. Prima del massacro di Bronte ad opera delle truppe garibaldine, prima ancora delle perdite dovute ai Vespri, il massacro di Enna fu uno dei più violenti mai verificatisi. Furono 20.000 le persone a cui fu tolta la vita. Un monito terribile ed incancellabile.

Nel 1960, il comune di Enna, alle spalle del Castello che fu l’ultima roccaforte a cadere, dedicò a quegli eventi queste parole: «L’umile schiavo Euno da questa Sicana Fortezza, arditamente lanciava il grido di Libertà per i compagni suoi, il diritto affermando di ogni uomo a nascere libero ed anche a liberamente morire». Il nome di Euno, oggi, richiama forse, alla mente dei più, il personaggio di una favola. Ma fu proprio quel gesto a mostrare al mondo che si poteva lottare per un diritto tanto sacrosanto quanto traballante: scegliere di diventare qualcuno non secondo imposizione, ma secondo coscienza. Fu Euno ad anticipare tutti: dallo schiavo Spartaco, qualche decennio più tardi, alle rivolte dei servi della gleba. Ma non finisce qui, perché l’eco delle sue gesta non cessa di riverberarsi anche su noi contemporanei. Per ricordarci che siamo obbligati a credere nelle utopie anche quando queste sono considerate sinonimo di follia; che non c’è debolezza o inadeguatezza nel cuore di chi sa immaginare; che nascere in un’area svantaggiata non giustifica la nostra resa dinanzi alla possibilità di cambiare le cose. Una lezione, oggi più che mai, tanto cara ai siciliani. Figli di Euno andati lontano ma pronti a riprendere le armi. O guerrieri nel bel mezzo della loro battaglia.

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