Mentre tutti si dedicano alla spensieratezza e alla festosa confusione della ricorrenza estiva, il commissario guarda con disappunto premonitore a queste usanze. E mentre la folla si disperde dalla spiaggia occupata per tutta la notte, un corpo, abbandonato come un rifiuto, mette il personaggio di Camilleri, nonostante l’aria di vacanza, di fronte ad un oscuro delitto e alla necessità di continuare a compiere il suo dovere

Un cadavere, con tanto di siringa in vena, abbandonato tristemente sulla spiaggia: a fargli da contorno sacchetti dell’immondizia, scatole e bottiglie vuote. È questa la visione che si staglia di fronte allo sguardo di Salvo Montalbano nel racconto Notte di Ferragosto, pubblicato dalla Sellerio nel 2013 all’interno della raccolta Ferragosto in giallo. E mai, il commissario più famoso della letteratura, avrebbe immaginato di imbattersi in un caso così spinoso dopo la classica festa di metà agosto. Tutti, a primo impatto, avrebbero pensato alla bravata notturna e festaiola di un giovane spintosi troppo in là verso una tragica fine: ma non Montalbano, che sin dalle prime battute nutre il sospetto che dietro quella morte apparentemente anonima si nasconda una montatura creata ad arte. Ma qual è il senso di una tale scena? Che significato ha, in chiave camilleriana, una simile morte letteraria?

Il tutto va certamente collegato alle tipiche usanze di Ferragosto delle famiglie siciliane, cui l’immaginaria Vigata non fa eccezione: con tanto di nonni al seguito, un passaggio fondamentale è occupare il litorale per passarvi la notte mangiando e bevendo in quantità. Confusione, folla, chiasso: è così che il commissario, cultore di una solitudine ristoratrice, percepisce negativamente i festeggiamenti estivi della cittadinanza. Ma c’è di più: se il Ferragosto è sinonimo di festeggiamenti – spesso smodati – ciò significa che, anche solo per una notte, si è disposti ad abbassare i propri freni inibitori e, di conseguenza, la propria soglia d’attenzione. Emerge, perciò, una concezione peculiare del Ferragosto, una concezione che considera questo ammassamento festoso come sinistramente pericoloso. E il commissario, col suo intuito quasi infallibile, sembra quasi premonire la tragedia del mattino seguente. Perché, da inquirente navigato, Montalbano sa che la confusione può rappresentare la copertura ideale per qualche malintenzionato, la scena del crimine che, paradossalmente, può garantire un rassicurante anonimato.

Ma il commissario, si è detto, si distingue naturalmente da quella marmaglia che, con sconvolgente indifferenza, ha lasciato che un corpo senza vita finisse spiaggiato come un qualsiasi scarto della festa volta al termine. Da ingegno fine qual è, Montalbano non può permettersi di abbassare la guardia, di dimenticare i propri doveri, di demandare a qualche altro la ricerca di una doverosa giustizia. Coi suoi occhi di esperto poliziotto e di siciliano, abituato a scovare il male anche dietro la patina festosa di una ricorrenza come quella del Ferragosto, il lettore si trova immerso in una dimensione inedita, che ci mostra una tristezza inattesa e una condizione esistenziale che corrisponde quasi ad un sacrificio: quello di vedere compromesse le programmate vacanze con l’amata Livia, di doversi prendere a carico l’oscurità di un delitto mentre tutti si dedicano alla spensieratezza. Di doversi ergere, ancora una volta, a simbolo del bene rinunciando a dedicarsi a se stesso per il bene di una comunità spesso inconsapevole di vivere sicura grazie alla presenza di uomini dediti alla causa come Salvo Montalbano.

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