«C’è sempre fetore quaggiù al Meridione, e Mago Magone lo ha detto più volte ed ha già in serbo una super pozione». Quando Carmen Consoli imbraccia “una chitarra vera” e riempie di ironia e sarcasmo i suoi versi, riesce ancora a graffiare come quella “bambina impertinente” «che voleva fare la rockstar, difendere Caino e affrontare l’uomo nero». Mago Magone e L’uomo nero sono i due episodi più potenti di Volevo fare la rockstar, album in cui i temi dell’amore e dello smarrimento, della famiglia e dell’inesorabile scorrere del tempo s’inseriscono in un affresco dalle tinte pastello e dallo stile fiabesco del Paese. Anche perché il sogno della dolce scolara in grembiule bianco che appare sulla copertina del disco e che «immaginava il tavolo della cucina come un palco perfetto» non si è concretizzato.

«Avrei voluto essere una rockstar come quelle di Woodstock, come quelle degli anni Settanta, mentre alla fine sono diventata, nel mio piccolo, una popstar. Sono sempre stata fuori dal tempo: i miti di tutti, da piccola, erano i Duran Duran, ma io avevo in testa altro. Se Clizia Gurrado sognava di sposare Simon Le Bon, io sognavo di sposare Morrissey», scherza.

Al posto della “cantantessa”, della rockeuse che inseguiva Janis Joplin e Aretha Franklyn, oggi c’è mamma Carmen, una signora matura di 47 anni che sfoglia l’album dei ricordi, dando lezioni di vita al figlio, lasciandosi prendere dal “magone”, dalla malinconia per quello che non c’è più: il padre, l’educazione, il rispetto, le domeniche al mare o in campagna «a raccogliere le olive».

«Faccio sempre recupero della memoria», sottolinea la cantautrice. «Se non ci si ricorda da dove si viene e da dove si è passati per arrivare dove si è, non si può costruire il futuro. E dato che il mio futuro non riguarda solo me, ma anche mio figlio, è per me un’esigenza imprescindibile. Ho rispetto del mio passato, lo riscrivo e lo reinterpreto. Ma allo stesso tempo imparo, studio, leggo, incontro persone: se non vivo cosa devo scrivere. Vivo sei anni e poi scrivo un disco, non ho fretta». Volevo fare la rockstar esce infatti a distanza di sei anni dall’ultimo disco di inediti L’abitudine di tornare.

Davanti alle storture del presente, Carmen Consoli si rifugia nel sogno: «Non ci bastano gli angeli a contenere gli argini del male» lancia l’allarme in Imparare dagli alberi a camminare. Oppure in Qualcosa di me che non ti aspetti mette alla berlina gli «illustri shamani» secondo i quali «l’effetto serra è una superstizione da scienziati». «Ho paura di un ritorno al fascismo subliminale, non raccontato», dice. «Internet inietta notizie che diventano verità e non lo sono. Cosa ci può salvare? La cultura vera, la scienza. Ho molta paura per mio figlio, bisogna stare attenti al Mago Magone che si fa i selfie e ha un fan club». Identificarlo è facile, come anche L’Uomo nero.

Alla fine, però, mamma Carmen lascia aperta la speranza di una nuova alba. «Se solo ci provassimo a respirare col cuore riaccenderemmo i sogni e i lumi della ragione la vita è una domenica al mare. Un’alba nuova da guardare», canta.

Musicalmente l’album mantiene il passo e gli arrangiamenti delle vecchie canzoni dell’artista. Spruzzi di surf bagnano Mago magone, «metafora di certi manager e politici che promettono facili prodigi facendo leva sulle debolezze altrui». Riff di basso in stile Motown rendono radiofonica Sta succedendo. Ambientazioni retrò anni Cinquanta cullano il bolero di Le cose di sempre, accorata lettera al figlio Carlo, che oggi ha 8 anni: «Come posso figlio mio / insegnarti a rispettare le idee, le debolezze altrui, le piante e le zanzare / in questa giungla inospitale in cui a dettare legge è il predatore / il mito della clava e del terrore», canta mamma Carmen. Onirica e raffinata l’ambientalista Imparare dagli alberi a camminare dal finale in crescendo.

La copertina dell’album

Nelle chiuse spesso si nasconde una sorpresa: una coda prog(ressive) nel folk di Armonie numeriche, omaggio al fantasma di papà Peppe; il recitato del Mago magone scandito dalla “erre” moscia del figlio Carlo (che appare anche nel video del singolo Domenica al mare); Sei diventata nera è lo sberleffo che saluta L’Uomo Nero, sovranista dalla retorica fascista; mentre nella title-track viene citata Helter Skelter, quando Ringo Starr, esausto delle tante prove, sbotta: «I’ve got blisters on my fingers!» («Ho le vesciche sulle dita!»); ancora Beatles, mescolati a Rolling Stones, negli archi sui quali si spegne Domenica al mare.

«In questo album, come in Due parole (1996), ho trascorso molto tempo in studio con Massimo Roccaforte (che ha partecipato alla stesura di alcuni brani ed ha prodotto il disco insieme a Carmen Consoli e all’ex Denovo Toni Carbone, nda)», spiega. «Giocando sui suoi appunti musicali e su questi abbiamo suonato e improvvisato insieme finché i pezzi non hanno raggiunto una forma che ci soddisfacesse per registrare infine quelle versioni. Avere Toni Carbone come fonico ha caratterizzato il disco con un suono tutto analogico, con muri di amplificatori e valvolari, mentre Pino Pischetola, che lo ha missato, ha conferito al lavoro la freschezza della sua visione digitale».

Volevo fare la rockstar dal 4 novembre prossimo affronterà la prova del palco: si parte da Parma per chiudere il 27 dicembre a Roma. Il tour, forse con Marina Rei alla. Batteria, farà scalo al Metropolitan di Catania il 15 e 16 dicembre e al Teatro Al Massimo di Palermo il 17 e 18.

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