«Non sono un uccello di gabbia, ma tordo», canta Oriana Civile in U me ritrattu, che sembra confezionato su misura per lei da Pippo Mancuso, autore della raccolta di strofacce “Malu Tempu”. È un avvertimento a chi minaccia la sua libertà ed è subito in apertura del suo nuovo album Storii (tra il serio e il faceto).

Il nido di Oriana Civile è tra i boschi dei Nebrodi, nel natìo borgo medievale di Naso. «È il mio punto di osservazione sull’essere umano e sul sentire umano», spiega. «Per dodici anni ho abitato a Palermo, ma in città non si vive. Sono convinta che la rinascita parta dalla ripresa delle relazioni tra persone, dalla conoscenza delle origini delle cose: conoscere da dove veniamo per sapere dove andare. I piccoli paesi devono rendersi conto del potenziale che hanno. Si può ripartire dal senso di comunità, dalla voglia di stare insieme, di conoscersi. Oggi siamo isole in mezzo alla tecnologia e ci disperdiamo».

Oriana Civile è una “local hero”, una supereroina a km zero che non si sveglia alla mattina con l’obiettivo di scalare le luci del mondo dello spettacolo, ma «innaffiando il mio orticello: è il mio modo per stare in contatto con la terra». Pomodori, peperoni, melanzane e zucchine. «Mi produco il cibo e mi dà il senso del tempo».

Oriana racconta la sostanza stessa dei territori che le consentono, con il loro intreccio di dialetti, tradizioni, suoni, volti, di ricostruire la sua geografia personale

La musica diventa occasione per investigare e raccontare l’identità di un popolo in un mondo sempre più global, per guardare al futuro comprendendo e assimilando le tradizioni, consapevoli del territorio di appartenenza. In Storii (tra il serio e il faceto) Oriana diventa la paladina di una nuova generazione di narratori orali. Recupera e ingentilisce la figura del cantastorie, quello classico, quello che andava nelle piazze e davanti a un pannello con dei quadri raccontava storie antiche o di attualità accompagnandosi con una chitarra acustica. Nella sua voce c’è la Sicilia, nelle corde della sua chitarra gli umori di una terra. «La mia filosofia è di lasciare pulito quello che c’è. Ci sono state e continuano a esserci abbastanza contaminazioni, io preferisco una riproposta filologica. Soprattutto per i siciliani che stanno dimenticando le loro origini musicali».

Nel rispetto dalla tradizione, Oriana parte dal “cunto”, per il suo ruolo sociale di memoria, per l’antica funzione epica della parola, per la capacità di rendere con la voce e teatralizzare una delle componenti della parola. Oriana lo rivisita con leggerezza, serietà e divertimento, come suggerisce il sottotitolo dell’album. Profonda quando parla di migranti o di fatti legati alla mafia: dalla misteriosa morte di Attilio Manca, il giovane urologo siciliano ritrovato cadavere nel suo appartamento a Viterbo, alle storie parallele dei fratelli Claudio e Luciano Traina, il primo vittima della strage di Via D’Amelio, il secondo del depistaggio nelle indagini sull’uccisione del giudice Paolo Borsellino. Sbarazzina quando in ‘A risurvemmu scherza sull’annosa questione del sesso dell’arancin*.

Ma, soprattutto, Oriana racconta la sostanza stessa dei territori che le consentono, con il loro intreccio di dialetti, tradizioni, suoni, volti, di ricostruire la sua geografia personale. Recupera storie, leggende, aneddoti, proverbi appresi dalla nonna o dalla tradizione orale. Scherza sui difetti e sulle “ingiurie” (i soprannomi) legati agli abitanti dei paesini dei Nebrodi, da San Salvatore di Fitalia a Ficarra sino a Galati Mamertino. E, naturalmente, la sua Naso, famosa per aver dato i natali a Stefani Joanne Angelina Germanotta, in arte Lady Gaga. Che, però, “nun nni caca”, canta Oriana nel brano in cui bacchetta i suoi concittadini, chiuso con la citazione di Bad Romance della popstar americana.

È una Sicilia in bianco e nero quella che Oriana canta. L’isola dei volti solcati da profonde rughe delle donne anziane dei paesi nebroidei. Un piccolo mondo antico senza tempo, genuino e attualissimo

«Punto il dito contro la mancata valorizzazione del territorio», denuncia. «Strade rotte, posti letti limitati, bar che chiudono alle 8 di sera… Lady Gaga, se dovesse un giorno davvero arrivare, sarebbe costretta a scappare subito. Naso è comunque il microcosmo per parlare del macrocosmo. Per denunciare l’incuria, l’incapacità, l’inesistente meritocrazia che dilaga in tutto il Paese».

È una Sicilia in bianco e nero quella che Oriana canta. L’isola dei volti solcati da profonde rughe delle donne anziane dei paesi nebroidei, stupendamente immortalati nel booklet da Raffaele Montepaone, fotografo calabrese. Un piccolo mondo antico senza tempo, genuino e attualissimo.

Ma Oriana Civile sorprende anche quando lascia da parte le storie collettive per rivolgere l’obiettivo su se stessa. Accade per il singolo Unni sini, che è il brano che chiude l’album. È un inno alla solitudine, «compagna inseparabile e fondamentale nella mia vita soprattutto nel momento della creazione», spiega l’autrice. «Nello sviluppo del brano questa solitudine si evolve in un atto di autoerotismo, in cui lui (o lei) si identifica in una immaginaria presenza che lascia spazio alla fantasia erotica più di quanto farebbe un reale contatto». Una canzone intima, personale, nella cui ultima frase il dialetto cede il passo all’italiano. Un brano che sembra indicare un nuovo percorso: da cantastorie a cantautrice.

Per pubblicare Storii (tra il serio e il faceto), il suo secondo album dopo Canto di una vita qualunque (2016), Oriana Civile ha dovuto ricorrere all’aiuto di sostenitori e amici attraverso il crowdfunding. Perché quasi tutti nella folk music devono lottare per guadagnarsi da vivere, con possibilità di fare soldi seri poche e rare (ed è più difficile ora di dieci anni fa). Soprattutto in una regione, come la Sicilia, dove non esistono “music commission” ed i soldi pubblici finiscono nelle tasche dei “soliti noti”. Così chi vuole fare musica si fa forza soltanto del proprio entusiasmo. «La mia musica è difficile da vendere», commenta amaramente Oriana. «C’è un pienone di concerti, ma pochi pagati dignitosamente. All’artista non viene riconosciuta la dignità di lavoratore. Quando mi sono affidata al crowdfunding avevo scarse prospettive. Invece ho ricevuto attestati di stima tali da superare l’obiettivo che mi ero prefissata. E quando suono la mia musica arriva, diverte platee di bambini e suscita ricordi nei più anziani».

Una occasione per ascoltare “live” Oriana Civile sarà il 6 agosto al Dedalo Festival di Caltabellotta, in provincia di Agrigento.

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