L’articolo che segue è stato scritto da una studentessa del corso di “Storia e tecnica del giornalismo” tenuto dal prof. Giuseppe Di Fazio presso l’Università di Catania

“Altrove” non è sempre meglio. Soprattutto quando, da quell’”altrove”, non si fa mai ritorno. È quello che sembra suggerirci il giornalista Marco Bardazzi, intervistato in occasione della presentazione del suo libro Silicon Europe (Rizzoli 2022), tenutasi nell’aula magna del Palazzo Centrale dell’Ateneo catanese. «Il tema non è abbandonare la propria terra, ma partire, ampliare i propri orizzonti all’estero, per poi tornare. Prendere spunti non soltanto in America, ma anche a livello europeo. Si sfrutta poco il potenziale del nostro continente, anche in ambito giornalistico. Osservando cosa c’è fuori dai propri confini, probabilmente si diventa ancora più capaci di immaginare ciò che in Italia manca, e si cerca di incrementarlo»: questo è il messaggio che il giornalista vuole mandare ai giovani studenti. A loro è indirizzato il suo nuovo libro, realizzato con l’intenzione di raccontare le idee e le invenzioni che caratterizzano la storia di STMicroelectronics, azienda italo-francese per la produzione di componenti elettronici a semiconduttore. Bardazzi ci fa conoscere l’esistenza dell’innovazione tecnologica in Sicilia, facendosi promotore di una nuova narrazione spesso inesistente in Italia: fuggire con un biglietto di sola andata dalla propria terra non è sempre la soluzione migliore.

Il giornalista Marco Bardazzi

Eppure, l’Istat ha quantificato in un milione circa gli italiani partiti per l’estero tra il 2012 e il 2021, un quarto dei quali possedeva una laurea. Incrociando i dati dell’Istituito di statistica con quelli del Ministero dell’Università, emerge che fra il 5% e l’8% dei laureati italiani parte per l’estero. Nonostante durante la pandemia le partenze siano diminuite a favore di numerosi rimpatri, rimane comunque negativo per circa 79 mila unità il saldo migratorio dei giovani laureati fra i 25-34 anni. A questo si aggiunge un ulteriore problema: se i posti scoperti al Nord vengono compensati dai giovani meridionali, al Sud si verifica la perdita maggiore di talenti, che emigrano già durante gli studi. Oltretutto, la fuga di cervelli dall’Italia non provoca soltanto una perdita di risorse fondamentali per la crescita di un Paese, ma arreca un costo annuo che si può stimare intorno all’1% del Pil, determinando una pesantissima perdita di investimenti fatti in capitale umano. Confindustria ha calcolato nel 2018 che la spesa di una famiglia per la formazione di un giovane fino a 35 anni è di circa 165 mila euro. Considerando una fuga di 50 mila over 25 significa aver perso 8,3 miliardi a cui se ne aggiungono 5,6 in spese dello Stato per assicurare servizi e istruzione. Ne consegue una perdita complessiva di 14 miliardi di euro all’anno che gravano sulle casse dello Stato.

La copertina del volume


I motivi che spingono alla fuga riguardano le dure condizioni di lavoro alle quali i giovani italiani sono obbligati ad adeguarsi: un lavoro precario, discontinuo, sfruttato, sottopagato, che assume spesso le vesti di una vera e propria schiavitù legalizzata e che non fornisce alcuna promessa. Infatti, rispetto all’estero, la prima occupazione post-laurea in Italia non consente di raggiungere quell’autonomia finanziaria che permette di slegarsi dall’assistenzialismo della propria famiglia. Uno stage a 600 euro mensili è ciò a cui possono ambire i neolaureati, contro i 30.000 euro annuali che offrono paesi come Germania e Francia. Alla mancanza di prospettive di crescita, si aggiunge l’inconcludente azione della classe politica che ignora e sottovaluta il problema, o peggio ancora, lo incentiva: parlando di mobilità anziché di fuga, di flessibilità al posto di precariato. Una classe politica che ritiene urgenti solo i problemi causati dall’immigrazione, e non dall’emigrazione.

Anche nel campo dell’imprenditoria la situazione non appare più rosea: la soffocante pressione fiscale e l’opprimente burocrazia spingono gli imprenditori a spostare le produzioni all’estero. Emerge, quindi, la necessità di offrire nuove e tangibili prospettive di crescita, aiutando le imprese che mirano all’assunzione di giovani risorse, creando le condizioni adatte per le prossime generazioni e inculcando una realtà di cambiamento per assicurare migliori condizioni di benessere alle famiglie italiane.

Verso questa direzione è orientata l’inedita realtà illustrata da Bardazzi: la Sicilia offre l’opportunità di non considerare la fuga in un Paese estero come l’unico modo per assicurarsi un futuro migliore. Al posto della fuga, il giornalista propone la circolazione dei cervelli, o brain circulation, con cui si intende un percorso di formazione in cui si fanno esperienze all’estero per affinare le proprie competenze, per poi tornare nel proprio Paese sfruttando le conoscenze ottenute e occupando posizioni di rilievo. Il movimento di cervelli, infatti, costituisce un fenomeno essenziale per il potenziamento della ricerca. Bisognerebbe invertire la rotta e far in modo che il flusso in Italia non sia esclusivamente unidirezionale e le partenze siano seguite da altrettanti rimpatri. Attraverso le parole di Bardazzi iniziamo a credere che questo sia possibile, che grazie a realtà come STMicroelectronics, la Sicilia possa diventare una terra capace di competere a livello internazionale, che sia in grado di offrire non soltanto spiagge paradisiache e sensazionali percorsi enogastronomici, ma anche e soprattutto molto altro. Affinché la rivoluzione avvenga, devono essere i siciliani, in primis, ad imparare a raccontare l’esistenza di una Sicilia nascosta.

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