Il conduttore del “Ruggito del Coniglio” racconta il suo nuovo romanzo, Accendimi (Einaudi, 2017) una storia d’amore surreale tra una pasticcera e una voce

A volte basta una voce per cambiarti la vita: l’acuto di un cantante, la battuta di un attore, o il buongiorno mattutino di un conduttore radiofonico come Marco Presta, storico speaker della trasmissione satirica di Radio2 il «Ruggito del coniglio», ma anche attore, autore di testi per il teatro e la televisione, e brillante scrittore, che stasera (ore 20) presenterà al “SAL Spazio Avanzamento Lavori” di Catania il suo ultimo libro: Accendimi, recentemente edito da Einaudi. Durante la serata, l’autore dialogherà con Giuseppe Lorenti e alcuni estratti dal libro verranno letti da Marco Sciotto sulle selezioni musicali di Renato Mancini. «La protagonista di questo libro – racconta l’autore – è una pasticcera che vive una vita che non la rende felice. Ha un fidanzato con cui ha un rapporto tiepido, delle amiche che tanto amiche non sono, un fratello che appare solo per farle richieste. Insomma, vive quell’insoddisfazione che spesso abbiamo in tanti. A stravolgerle la vita sarà la voce di Antonio, sentita alla radio, che a un certo punto si rivolge direttamente a lei, la chiama per nome, la corteggia. Nascerà così una favola d’amore»

Era già successo a Joaquin Phoenix, nel futuristico film “Her” di Spike Jonze, di innamorarsi di una “voce”, in quel caso quella del sistema operativo “OS1″. “Accendimi”, tuttavia, è una storia d’amore raccontata due volte: un amore platonico per una voce dentro una radio, ma anche un amore per la radio come oggetto fisico.
«È così: una metafora dell’amore per la radio in generale e mio in particolare. Del resto, credo che quello radiofonico sia il mezzo più affettivo, più amoroso tra tutti poiché crea un rapporto di maggiore confidenza ed empatia tra chi la fa e chi l’ascolta». 

Quando scriviamo, in fondo raccontiamo quello che siamo. Quanto c’è di autobiografico in questo libro?
«Sono tutti ricordi d’infanzia: dalle canzoni che cito, alle voci, fino a quelle radio cubiche “Brionvega” che tutti hanno avuto. La radio è un oggetto allo stesso tempo antico e moderno».

Senza raccontare il finale di questa storia, il libro si chiude con una sorta di “postilla” sulla data del 28 settembre 1942 e con la storia di Tiepolo, un falegname che rientrò a casa con una grossa radio a valvole tra le mani. Anche quello è un ricordo d’infanzia?
«È l’unica nota reale all’interno di una favola. Questo signore era mio nonno, ed esattamente cinquant’anni dopo quel giorno, ho cominciato a condurre un programma radiofonico. Ogni tanto ci penso, e onestamente mi sarebbe piaciuto che mi avesse sentito fare radio».

A proposito della sua attività da conduttore radiofonico. Sono passati più di vent’anni dall’esordio del “Ruggito del coniglio” eppure lei e Dose sembrate migliorare col tempo. Com’è possibile?
«La verità è che ci divertiamo a farlo. È un mestiere talmente divertente che non ti stanca mai. E poi in Italia succedono talmente tante cose che è impossibile non trarvi del materiale interessante. Aprire un giornale oggi offre l’imbarazzo della scelta: è un po’ come raccogliere pannocchie in un campo sterminato. E non mi riferisco solo all’Italia: basta pensare a Trump, alla Corea del Nord, alla Russia. È proprio l’essere umano che va “messo a punto” in questo scorcio di millennio. E in tutto questo l’ironia è una forma di sopravvivenza». 

Su Facebook lei si diletta a pubblicare delle “riflessioni notturne”, recitate tutte con aria solenne. Che rapporto ha con i social?
«Li ho sempre visti con diffidenza, reputandoli un palcoscenico per dei cretini. Poi però ho voluto aggiungermi anche io a questa lunga schiera (ride ndr) perché penso siano dei mezzi di comunicazione importanti. Facebook cerco di usarlo in un modo “atipico”, con l’antico artigianato di chi fa il mio mestiere, postando ogni tanto delle piccole riflessioni in chiave satirica, piuttosto che foto bislacche. In questo senso mi diverto molto. Col “Ruggito del coniglio”, invece, stiamo sperimentando da un po’ delle dirette. Al pubblico piaccion, ma credo che la radio meno si veda e meglio è».

Eppure quando con “Dove osano le quaglie”, il programma che andò in onda su Rai3 in seconda serata dal 2003 al 2005, avete portato la Radio in televisione e ha funzionato.
«Sì, è vero. Però in quel caso la trasmissione fu pensata proprio per un pubblico televisivo. Credo che la radio sia fatta per l’ascolto e basta».

Stasera presenterà a Catania il suo libro. Che rapporto ha con la Sicilia?
«Ci torno sempre molto volentieri. Molti degli ascoltatori de “Il ruggito del conigli” ci chiamano dall’isola, devo dire che sono tra i più simpatici. La Sicilia è un luogo talmente bello da farti pensare di volerci vivere. Dal punto di vista politico è nella media nazionale: si sbandierano troppo le difficoltà di questa terra, ma in realtà accadono le stesse cose in Lombardia o in Abruzzo».

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