Nel 2022, il fotografo e curatore Roberto Koch ha avuto l’idea di avviare il progetto La Grande Fotografia Italiana: un modo per rendere omaggio ai grandi maestri dell’immagine che hanno segnato il Novecento del nostro paese. Dopo l’appuntamento d’apertura dedicato a Lisetta Carmi, quest’anno è la volta di Mimmo Jodice. L’esposizione si intitola Mimmo Jodice. Senza tempo e sarà aperta al pubblico presso la Galleria d’Italia di Torino di Intesa Sanpaolo fino al 7 gennaio 2024.

LA POTENZA DI UN VOLTO. Nella mostra una foto, una delle rare immagini italiane conosciuta nel mondo internazionale della fotografia è: “L’atleta della villa dei Papiri”. Lì, per l’ennesima volta, mi sono fermata – conosco il lavoro di Jodice da lungo tempo – a guardare questa immagine.Mi sono fermata chiedendomi cosa c’è in questo sguardo. L’artista che ha realizzato questa scultura – presumibilmente greco, della fine del IV – inizio del III sec. a.C. – cosa ha voluto far vedere nel volto che ha così sapientemente modellato? La fatica, l’inquietudine dello sforzo per riuscire nella vittoria? Il fotografo Jodice, in questa immagine, ha ripreso solamente il volto: cosa ha cambiato con il suo scatto, cosa ha voluto ricreare con il suo intervento artistico? L’autore nel catalogo della mostra scrive: “la realtà e la mia visione interiore coincidono”. Qual è la sua visione interiore? Il ritratto in b/n è sfumato, la bellezza dei lineamenti è stravolta dallo sguardo che a noi appare allucinato.

LA FRONTIERA MEDITERRANEA. In realtà la testa della statua poggia su un corpo che noi non vediamo e di cui volutamente Jodice ha voluto fotografare solamente il capo non con il senso documentaristico di una bella raccolta delle sculture presenti nella Villa dei Papiri ma per creare una nuova opera: l’opera di Jodice all’interno del progetto che ha chiamato Mediterraneo. È George Vallet, nei primi anni ’80, che lo avvicina al mondo dell’archeologia. Ed è proprio questa disciplina che penetra dentro il suo lavoro così come lo studio dell’architettura e dell’arte antica. Ricordo che nel 2018 Vincenzo De Luca, il direttore generale per la Promozione del Sistema Paese, disse che: “le immagini che raccontano il Mediterraneo e il nord Africa della mostra Mimmo Jodice. Mediterraneo interpretano al meglio lo spirito della diplomazia culturale italiana nello spazio geografico di cui il nostro Paese è centro cruciale, crocevia di passato e presente, crogiolo di culture e tradizioni». Il racconto visivo del grande mare e delle antiche civiltà, se da un lato ne trasferisce tutta la sua bellezza dall’altro sembra confermare l’inquietudine, l’instabilità che oramai lo abitano da tanti anni. Nel 2018 già da circa vent’anni l’Italia diventa terra di sbarco per i migranti con i primi albanesi. Dall’inizio del 2011 le traversate nel Mediterraneo di africani e medio orientali si trasformano in calvari lasciando morire migliaia di persone.

CUORE DI TENEBRA. Ebbene con questo presupposto e con il fatto che ho appena finito di leggere il libro Cuore di tenebra di Conrad, non ho potuto fare a meno di trovare calzante per questa immagine ma, direi per il lavoro in generale di Jodice sul Mediterraneo, la frase: “La tenebra non sta fuori dalla luce, bensì è interna ad essa, prodotta da essa”. Ebbene questo volto, gli occhi, così come i corpi delle statue riprese con questo deciso contrasto a mettere in evidenza sì la bellezza ma anche la forza, la drammaticità hanno suscitato in me un senso di tenebra. Sembra che attraverso la fotografia Jodice superi la bravura di chi aveva realizzato l’opera, sembra – perdonate l’azzardo – che le sculture abbiano avuto una seconda vita sfuggendo alla tenebra di qualche tragedia. L’artista nell’antica Grecia sembra presagire l’orrore che il Mediterraneo sarà costretto ad accogliere. La fotografia di Jodice mi riporta alle antiche civiltà che oggi hanno gli stessi volti, gli stessi occhi, la stessa bellezza, la stessa cultura. Il grande mare del Mediterraneo è circondato dalle terre di tre continenti che condividono una Storia analoga e poco importa se il nome delle religioni cambia così come quello dei cibi e dei riti, la radice dalla quale queste popolazioni provengono è la stessa. La stessa cultura nel bene e nel male, le stesse fatiche, lo stesso amore per l’arte, per la guerra, lo stesso senso di potere, gli stessi imperatori oggi dittatori, gli stessi atleti giovani che vogliono vincere e forse vogliono far concentrare su di loro l’amore per le sane competizioni come la corsa, il giavellotto… e forse far dimenticare in quei momenti la tenebra dell’ingiustizia.

In questi giorni Mimmo Jodice ha risposto ad una mia domanda sull’associazione con Conrad che riporto in via esclusiva: «La ringrazio per avermi offerto uno spunto straordinario per parlare del mio lavoro Mediterraneo; non avevo mai pensato a Conrad ed al suo Cuore di tenebra pur avendolo letto molti anni fa. Mediterraneo nasce proprio a Pompei, distrutta, sepolta dalla lava e dalla cenere; per gli abitanti deve essere stato davvero “l’orrore, l’orrore” del quale parla Kurtz prima di morire. Ho lavorato lungo tutte le coste del Mar Mediterraneo alla ricerca delle rovine di città distrutte dalle guerre, incendi e devastazioni. E tuttavia quello che vedevo era ancora magnifico, grandioso. Al ritorno da ogni viaggio, avevo bisogno del conforto di chi aveva “visto”. Ed erano gli occhi dell’Atleta dalla Villa dei Papiri che mi raccontavano tutto. Non oso neanche immaginare di paragonarmi a colui che ha scolpito gli Atleti ma devo confessare che il mio rapporto con loro è stato sempre molto forte. Lo straordinario Museo Archeologico di Napoli è stato il mio maestro, la mia scelta di vita, come lo è stato il magnifico Museo di Capodimonte. Quando ero ragazzo lavoravo proprio nei pressi del Museo Archeologico, oggi MANN, dove mi piaceva camminare, immaginare e pensare. Sin dal primo momento ho scelto colui con il quale parlare e raccontare. Non poteva essere che lui, l’Atleta. Ho guardato, fotografato le città con i suoi occhi aperti e consapevoli».


L’AUTORE

Mimmo Jodice nasce a Napoli, nel rione popolare Sanità, il 29 marzo 1934. È il secondo di quattro figli: rimasto orfano di padre, appena conclusa la scuola elementare inizia a lavorare. Proseguirà gli studi come privatista. Si appassiona all’arte, al teatro, alla musica classica e al jazz e si dedica, da autodidatta, al disegno e alla pittura; alla fine degli anni Cinquanta inizia a fotografare. Nel 1962 sposa Angela Salomone, compagna inseparabile, preziosa collaboratrice e madre dei suoi tre figli, Barbara, nata nel 1963, Francesco, nato nel 1967, e Sebastiano, nato nel 1971. Nel 1964 possiede un ingranditore. Frequenta in quegli anni l’ambiente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, presso la quale si rivivono le esperienze delle avanguardie storiche. Inizia una serie di sperimentazioni sulle materie, sulle forme astratte, sugli aspetti linguistico-tecnici della fotografia, intesa non come mezzo descrittivo ma come strumento espressivo. Nudo e ritratto sono fra i soggetti preferiti, ma anche gli oggetti di uso quotidiano, reinterpretati alla luce di composizioni astratte, talvolta di segno cubista. Nel 1967 decide di dedicarsi completamente alla fotografia, come ricerca e come professione. In questo stesso anno espone per la prima volta il suo lavoro a Napoli alla Libreria La Mandragola, e pubblica la sua prima fotografia sulla rivista Popular Photography, nell’edizione italiana.

Il link alla biografia completa di Roberta Valtorta sul suo sito.

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