Monsignor Gaetano Zito: «La devozione ad Agata per andare oltre: i santi sono una mediazione»
Il vicario episcopale dell’Arcidiocesi di Catania per la Cultura parla del rapporto tra la città e la Santa, delle opportunità per i fedeli di dare una svolta alla propria vita e del lavoro fatto in preparazione alla festa
Cosa significa davvero essere devoti a un santo? L’amore che i catanesi hanno per la loro patrona è davvero un modo per arrivare a Dio o, talvolta, potrebbe fermarsi al culto di Agata? Da questa domanda ha avuto inizio la nostra intervista a Monsignor Gaetano Zito, vicario episcopale dell’Arcidiocesi di Catania per la Cultura. «Andare oltre – spiega – è una condizione essenziale. Questo dovrebbe accadere sempre, anche se non possiamo dire con certezza che sia sempre così. Ampliare la propria devozione appartiene alla tradizione cristiana, i santi sono sempre mediazione. Uomini e donne che, testimoni di una vita illuminata dal Vangelo, raccontano le loro vicissitudini per farci comprendere come illuminare anche la nostra vita. In ogni caso si tratta di un fatto molto personale: indubbiamente molti fedeli vivono in questo modo la devozione a Sant’Agata».
UN’OCCASIONE PER DARE UNA SVOLTA ALLA PROPRIA VITA. Uno dei temi caldi della festa di Sant’Agata riguarda la sua possibile strumentalizzazione da parte dei devoti, magari per muovere dei passi in avanti nella scala sociale. «Il nostro lavoro – ci spiega ancora mons. Zito – serve proprio a vigilare per evitare che ciò accada». Allo stesso modo, altre volte la festa induce i devoti a una svolta nella loro vita. «Di questo possiamo avere prova dal fatto che in molti non si mettano in processione se non dopo aver ricevuto la confessione. Nei giorni dedicati alla Santa in Cattedrale sono presenti numerosi sacerdoti per le confessioni: è un esempio che fa capire molto».
«Il nostro lavoro serve a vigilare sulle possibili strumentalizzazioni della Festa. La religiosità dei catanesi è una grande ricchezza»
EDUCARE ALLA FEDE. Durante il periodo che precede la festa, i parroci delle chiese catanesi colgono l’occasione della festa per educare alla religione. «Ciò che facciamo – continua mons. Zito – è un itinerario che, in preparazione alle celebrazioni, si impregna di momenti significativi e formativi quali, ad esempio, la predicazione e l’annunzio del Vangelo o le liturgie penitenziali». La religiosità dei cittadini di Catania, poi, è vista come una grande ricchezza poiché «in modo molto semplice, i battezzati esprimono la loro devozione ai santi e il riconoscimento della santità di altri cristiani che, attraverso le loro storie e i loro martiri, testimoniano come sia possibile vivere il Vangelo».
IL RAPPORTO TRA AGATA E CATANIA. Oggi la festa in onore di Sant’Agata è una tra le più grandi del mondo, ma qual è il rapporto con la sua città natale? «È importante il fatto che – risponde mons. Zito – la città veda in Agata una catanese che ha saputo essere coerente, ha testimoniato la sua fede, ha avuto a cuore la sorte della sua città, ha avuto il coraggio di affrontare anche chi deteneva il potere per rimanere una donna libera. Indubbiamente Agata muove un’intera città. Ciò è molto più importante del dire che la festa sia la prima o la seconda al mondo per grandezza».
«Se si vuole che le cose cambino bisogna starci dentro e non prendere le distanze. Le situazioni si risolvono lavorandoci, come stiamo facendo in Cattedrale da un po’ di anni»
IL MESSAGGIO A COLORO CHE SI DISTACCANO DALLA FESTA. Tra gli intellettuali catanesi ce ne sono alcuni, tra i quali anche dei sacerdoti, che nel periodo della Festa Agatina si allontanano dalla città, poiché non vogliono mischiarsi con una religiosità da loro reputata pagana. Come reagire? «Se si vuole che le cose cambino – conclude mons. Zito – bisogna starci dentro e non prendere le distanze. Chi si accorge della necessità di apportare dei cambiamenti deve impegnarsi, scommettersi in prima persona per poterli ottenere. Le situazioni si risolvono se non si fugge ma, anzi, ci si lavora dentro, che è quello che stiamo facendo da un po’ di anni qui in cattedrale».