«Tira cumpàri, cchi Còfanu veni»: così, tra Trapani e San Vito Lo Capo, si suole indicare in dialetto un’impresa praticamente impossibile. Un detto che richiama una delle tante leggende legate al Monte Cofano, il promontorio situato nel territorio di Custonaci che, con i suoi 659 metri di altezza, ospita un ricco patrimonio naturalistico e alcuni tra gli scorci panoramici più belli della regione.

LE GROTTE SEGRETE. «È un pezzo di Dolomiti nel Mar Mediterraneo», ha spiegato al Sicilian Post Ninni Gallina, geologo e speleologo appassionato alle bellezze di Monte Cofano. e spesso a capo di escursioni guidate all’interno della Riserva Naturale orientata di Monte Cofano, di cui la montagna fa parte dal 1377. La sua formazione viene attribuita al periodo giurassico, mentre il nome deriva dal greco kóphinos cesta – ed è legato al particolare andamento orografico del monte. «Le pareti rocciose si tuffano a picco sul mare e sono caratterizzate da una vegetazione tipicamente mediterranea, costituita per lo più da palme nane e ciuffi di ampelodesmos, nonché da grotte quasi inesplorate, che si addentrano nella montagna sia in verticale che in orizzontale. Tra le più suggestive c’è quella cosiddetta della Clava, scoperta per caso negli anni Cinquanta: una frattura orizzontale alla quale si accede calandosi da una buca presente sul terreno e costituita, al suo interno, da stalattiti e stalagmiti (una delle quali ha proprio la forma di una clava), proprio come accade anche per la Grotta di Maria Santissima di Custonaci, che termina con la cosiddetta Caverna Bianca».

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LA LEGGENDA DELL’OMU DI COFANU. Un locus amoenus come il Monte Cofano, così antico e ricco di storia, ha ispirato a più riprese l’immaginazione delle popolazioni circostanti, portando fino a noi – fra le altre – la leggenda di un vecchio eremita che nella notte dei tempi pare vivesse alle pendici dell’altura, pregando e trascorrendo le sue giornate in perfetta simbiosi con la natura. Un giorno, una voce solenne interruppe il silenzio intorno a lui: era il Dio della Terra e del Fuoco, giunto ad annunciargli che avrebbe raso al suolo il villaggio adagiato sulla collina. «Gli avi degli abitanti hanno disubbidito alla legge delle cose, occupando le grotte, figlie del tempo e della montagna, che la natura aveva scavato nelle sue membra come rifugio per gli animali». Il vecchio eremita lo implorò di risparmiarli e gli promise che sarebbe andato lui stesso ad avvisarli, e a garantire che da quel momento in poi tutti avrebbero rispettato le leggi della natura. «In più, digiunerò per quaranta giorni e quaranta notti, e se tu non vorrai ascoltarmi pregherò tua Madre di accogliere la mia supplica e di risparmiare il paese». Il Dio svanì senza rispondere e l’uomo cominciò a digiunare; dopo quaranta giorni il Dio riapparve per comunicargli che il digiuno aveva fatto breccia nel cuore di sua Madre, e che avrebbe risparmiato la popolazione. «Ti metterò ancora una volta alla prova – aggiunse però – farò cadere una stella dal cielo, così vicina al villaggio che il suo boato farà credere a tutti di essere stati colpiti. In verità si tratta solo di un segnale di avvertimento, non vi sarà alcun danno. Ecco perché, quando tu vedrai il cielo tingersi di rosso, non dovrai voltarti. Abbi fede». E scomparve di nuovo nel nulla, lasciando l’uomo solo con la sua angoscia. Il mattino successivo accadde ciò che il Dio aveva annunciato, ma l’eremita non pensò più alle sue parole e si recò sulla vetta del Monte per controllare che il paese non fosse stato distrutto. La stella lo aveva davvero risparmiato, ma l’uomo aveva disubbidito al Dio e fu dunque investito da un bagliore e trasformato in una statua di pietra. Ancora oggi l’Omu di Cofanu è incastrato tra i costoni di roccia della montagna, mentre ai margini del paese rimane visibile il cratere della Bufara, e cioè la buca creata dall’impatto con la stella.

Quando vennero a conoscenza del tentativo di furto, gli abitanti di Custonaci decisero di mettere a guardia del Monte Cofano un campèri, ovvero un custode della montagna, per scongiurare il verificarsi di altre imprese simili…

«TIRA CUMPÀRI, CCHI CÒFANU VENI». E c’è di più, perché bellezza di Monte Cofano è tale che, si racconta, i trapanesi lo volessero in passato tutto per sé. Due compari pensarono pertanto di legarlo a una corda per trainarlo fino alla loro città, anche se la corda si ruppe e i due caddero in mare – da qui viene l’espressione «Tira cumpàri, cchi Còfanu veni», letteralmente traducibile come «Tira compare, ché il Cofano si avvicinerà» (una variante locale del proverbio «Campa cavallo ché l’erba cresce»). Quando vennero a conoscenza del tentativo di furto, gli abitanti di Custonaci decisero di mettere a guardia del Monte Cofano un campèri, ovvero un custode della montagna, per scongiurare il verificarsi di altre imprese simili. A Trapani, nel frattempo, era cocente la delusione per il fallimento di quel tentativo, e i due compari che ne erano responsabili non potevano neanche più sopportare la vista della montagna, tanto che decisero a un certo punto di mandare un demone a scagliare le sue saette contro il campèri e contro il paese di Custonaci. Tuttavia, guidata da una mano divina, una freccia deviò d’un tratto le saette e salvò la popolazione e il Monte Cofano. Una di esse colpì così una località vicina, l’attuale Bufara (scavando l’enorme voragine nel terreno che era oggetto anche della leggenda dell’Omu di Cofanu), e ancora oggi la sagoma del campèri dell’epoca rimane ben visibile tra le rocce della montagna.


TREKKING TRA STORIA E LEGGENDE

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Per chi volesse addentrarsi nella Riserva Naturale e raggiungere a piedi il Monte Cofano, il sentiero più semplice da percorrere è quello che parte da Cornino, di fronte a Cala Buguto.
La prima tappa a cui conduce è la torre di San Giovanni, un maestoso punto di avvistamento utilizzato nel periodo borbonico per difendere la costa dagli attacchi dei pirati: da questa torre, infatti, attraverso un particolare sistema di luci, era possibile comunicare con la torre Isulidda, a San Vito Lo Capo.
Spostandosi verso oriente si arriva alla cappella del Crocifisso e all’omonima grotta, «una frattura che si addentra nella montagna per circa trenta metri» specifica Ninni Gallina. «Un vero forziere di tesori, che custodisce ancora le tracce degli insediamenti umani nel periodo preistorico: fossili, armi e utensili di selce».
Più avanti, in direzione Punta del Saraceno, si trova invece una testimonianza religiosa risalente al 1750. Si tratta di una piccola edicola sacra in marmo in cui è raffigurato San Nicola, vescovo di Bari.
Da questo punto il percorso punta in alto, verso il Passo della Zita. Stando a un noto racconto popolare, in questo punto si consumò la tragedia di una giovane sposa che, percorrendo il ripido sentiero in sella a un asino insieme al marito, venne sbalzata in mare dall’animale, spaventato da un serpente. C’è chi giurerebbe di sentirne ancora il lamento, mentre la schiuma formata dal mare che si infrange sulla costa ricorda il candore del suo velo.
Qualche minuto per ammirare il paesaggio, circondati dal profumo del mare, e poi giù, verso la torre della tonnara di Cofano, caratteristica per la forma quadrata e le pareti concave, edificata per avvistare i tonni sotto costa ma anche per proteggere la tonnara e le case dei pescatori. «Proprio sopra la tonnara – chiarisce Ninni Gallina – si trova un’area di grande valore archeologico. In questo sito sono stati scoperti una cisterna, una scala scavata direttamente nella roccia, un passaggio segreto sotterraneo, una porta angolare, la base di un’ara e un sistema di terrazzamenti. E soprattutto diversi frammenti di ceramiche, da attribuire al controllo cartaginese durante la prima guerra punica».

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