Quotidianamente attraversati dalle auto, una volta le caratteristiche strutture in pietra lavica erano luogo di attracco per le navi dei pescatori. Costruite sul finire dell’Ottocento per collegare la città etnea con Siracusa, hanno perso il loro ruolo originario, ma non di certo il fascino, rinnovato dalla pioggia degli ultimi giorni

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]S[/dropcap]utta l’archi da marina sciddicau na signurina sciddicau cu l’anchi aperti e si vitti u trentasetti. Passau ‘n giovanottu ca ci vitti u quarant’ottu sutta l’archi da marina sciddicau na signurina».

Gli archi della marina, come testimonia questo antico adagio, sono un patrimonio sotto il quale ogni cittadino che si rispetti a Catania è passato. Vicini a piazza Alcalà, sono oggi al centro di polemiche e meme ironici perché tornati alla loro vera natura, quella appunto di “Acchi dâ Marina”. Sotto le volte in pietra lavica e calcarea trovavano infatti rifugio le piccole imbarcazioni dei pescatori mentre oggi c’è chi promette corsi di canottaggio o chi afferma di aver preso di diritto la patente nautica. Si sa, quando a Catania piove certe zone sembrano far rivivere quel Lago di Nicito sommerso dalla lava in poche ore. Come molti ricordano, non tutti gli archi erano poggiati sulla terraferma e un terzo della loro porzione finiva direttamente sul mare. Da qui le imbarcazioni dei pescatori potevano accedere alla città e, in virtù di ciò, appare ancora più significativa la presenza della pescheria, cuore pulsante di Catania, nelle vicinanze.

Gli archi della marina furono progettati, sul finire dell’Ottocento, per essere un viadotto ferroviario che collegava la città etnea con Siracusa. Catania a quei tempi era un luogo fertile e, al contrario di quello che possiamo pensare oggi, pieno di migranti che dal nord giungevano nelle coste sicule per cercare un lavoro. A sostenere la crescente economia anche le Ciminiere, oggi centro fieristico e museale, una volta raffinerie di zolfo. Il fiorente processo di ammodernamento fece sì che il comune etneo entrasse nel mirino degli ingegneri sabaudi che decisero di dotare la città di una ferrovia. I progetti presentati furono diversi: alla fine vinse la volontà di seguire il percorso delle antiche mura di Carlo V che già separavano la città dal mare. Il 3 gennaio del 1867 venne inaugurata la stazione centrale costruita sulla scogliera dell’Armisi, dove ancora oggi si può andare per fare un bagno, mentre gli archi furono ufficialmente inaugurati l’1 luglio del 1869. 56 in tutto, il loro percorso si snoda, come una S, dal molo foraneo del porto fino alla Porta Uzeda, passando attraverso la Villa Pacini. Contestualmente alla costruzione di solito c’è sempre un prezzo da pagare e all’epoca a farne le spese fu la chiesetta del Salvatore che costruita nel XVII secolo riuscì a salvarsi dalla distruzione della terra, ma non da quella dell’uomo.

Oggi luogo trafficato e di passaggio, è popolato dai banchi del pesce e dai turisti curiosi che osservano senza comprenderne appieno l’utilità. In tanti ne hanno proclamato il ritorno a luogo di attracco, l’opzione appare bizzarra e di difficile attuazione, ma per fortuna ogni tanto arriva la pioggia che ci ricorda come eravamo.

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