Questa settimana la rubrica ci porta a scoprire l’origine storica di un’espressione che avrete certo sentito dire. Cosa c’entrerà mai con la terra di canguri e coccodrilli?

Gli europei sono grandi colonizzatori, da Cristoforo Colombo a Bartolomeo Diaz: viaggiatori, esploratori, sognatori, scopritori e… prolifici. Ma forse nessun europeo è stato così prolifico quanto l’Oryctolagus Cuniculus, il piccolo, timoroso, delicato, coniglio d’Europa. Fra siesta e tapas, l’animale di ceppo spagnolo è diventato pian piano un conquistador mondiale; ma ad attenderlo, più che la carota, è stato spesso il bastone. Perché si dice figliare come conigli? Chiedetelo a un australiano.

Le milioni di pecore (e dollari) che piangono da quelle parti hanno un nome, o meglio, una buffa coda a batuffolo. Il coniglio europeo approda in Australia nel 1788 insieme a navi di condannati britannici a cui, in cambio della libertà, un solo onere è richiesto: moltiplicarsi per fondare la nuova colonia. La bestiola si fa particolarmente carico di questo cruccio, guadagnandosi l’ira degli australiani. Nel 1827 i conigli sono già in prima pagina: un giornale della Tasmania riporta la notizia del loro esagerato numero e si diffonde la caccia al coniglio (che chissà quante puntate dei Looney Tunes avrà ispirato). Ma la vera esplosione demografica data 1859, quando Thomas Austin, allevatore di pecore, libera 24 esemplari. In 6 anni solo nella sua terra ne uccide 20mila. Enormi distese a erba, stagni, quasi nessun predatore (dingo e canguri sono da tempo tenuti a distanza): l’Australia sembra l’Eden per i timidi animali che credono addirittura di esser passati a miglior vita. E di fatto da lì a poco è così. Rosicchiando qua e là non solo mangiano il cibo delle pecore tanto care per la preziosa lana d’esportazione, ma rendono la terra preda dell’erosione, proprio perché spogliata dello strato erboso: una maledizione per l’ecosistema australiano. Presto non c’è un mq in cui due conigli non siano diventati 4: cittadinanza ad honorem per adempiere gli ordini di Sua Maestà? E invece no. I costi si fanno troppo alti e tra 1902 e 1905 viene costruita la «recinzione del coniglietto» (così è battezzata) della lunghezza di 2100 km. Ma non basta, i piccoli roditori riescono a farla franca così si ricorre a metodi più drastici. Nel 1950 viene diffusa fra la specie, raggiunto il mezzo miliardo, la mixomatosi, una malattia del coniglio che ne lascia salvo soltanto lo 0,2% ma più forte di prima: ciò che non uccide fortifica. Come festeggiano la mancata estinzione i pochi rimasti? Facendo quello che di meglio sanno fare: scambiarsi effusioni amorose. Una lunga stirpe si abbatte nuovamente sul manto erboso dell’Australia. Gli altri tentativi a seguire sortiscono effetti analoghi, un po’ più distruttivi, ma continuano a non arrendersi e figliano come conigli. Oggi la State Barrier Fence of Western Australia comprende quella e altre due recinzioni, tutte con lo scopo di proteggere le zone fertili e le greggi. 23 dipendenti sorvegliano 5614 km in totale di rete metallica (in alcune zone elettrica) alta 2 metri e profonda altri 30 cm. Altro che coccodrilli e serpenti velenosi: nulla fa più paura ad un australiano di un coniglio.

Solo un’eccezione: il Gold Bunny Lindt dal nastrino rosso, sbarcato in Australia nel 1997, è felicemente ammesso, anche fuori Pasqua. Insomma, o sei un prodotto della globalizzazione o non entri. In inglese la chiamano «fence», la stessa parola utilizzata per indicare le barriere anti-uomini. Ma progettare lo sterminio della propria specie è una esclusiva umana. Nessun coniglio al mondo costruirebbe una trappola per conigli.

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