Questa è una lettera aperta a firma di un giovane ragazzo siciliano, Giorgio Impellizzieri. La pubblichiamo senza filtri

[dropcap]A[/dropcap] un mese e mezzo dal voto per le politiche, dalla mano che tremava nel tracciare una croce, è urgente guardare la realtà. Senza banalizzarla.
Questa è una lettera alla ricerca di destinatari, perché a ventitré anni – senza disperazione, ma con necessario realismo – non vedo intorno a me alcuna realtà politica con la quale interloquire. Non mi dispero, non sprecherò alcun secondo della mia esistenza a “guardare la vita dal balcone”. Nella mia breve esperienza politica, quello di uno studente universitario siciliano che si è impegnato ad affrontare i problemi del proprio ateneo a Milano, ho imparato che la realtà, le persone che mi stanno intorno, sono un regalo troppo grande per non prendersene cura direttamente (e questa è l’unica democrazia diretta che conosco).
La situazione politica italiana mostra come ci siano problemi che non possono più essere taciuti, o trascurati. Perché si può essere contrari all’oppressione fiscale, eppure dire ad alta voce che chi evade le tasse (per scelta e non per necessità) deve andare in carcere. Si può essere moderati e urlare che la mafia è un cancro che uccide il nostro paese. Si può essere liberali e affermare che il Sud sta vivendo una tragedia: tutti (o quasi) i miei amici siciliani, così pieni di talento, passioni e capacità, sono costretti ad abbandonare la propria terra, che sta letteralmente morendo, sta letteralmente morendo, sta morendo. È nostro dovere dare un nome ai problemi che affliggono l’Italia, perché tacerli significa accettarli e consegnarli alle grida degli altri.  Nessuno, nessuno, nessuno – perlomeno fra quelli che amano definirsi responsabili – in questi mesi di campagna elettorale ha fatto proposte sul Sud, sull’educazione, contro la corruzione, contro l’evasione fiscale, contro la mafia. Eppure, checché se ne dica, si è parlato a lungo dei programmi (basti pensare alla rilevanza che hanno avuto la flat tax e il reddito di cittadinanza); il problema è il modo in cui se n’è parlato. Nessuno che abbia offerto una visione, una risposta di lungo periodo che intrecciasse i diversi temi e che guardasse negli occhi le paure che affliggono le persone. E le persone sono giustificate ad avere paura. Perché io non lo so ancora cosa significherà la parola Nazione in un contesto così multiculturale; io non lo so come sarà il futuro in cui l’intelligenza artificiale invaderà il mondo del lavoro; io non lo so come evitare che gli sconfitti della globalizzazione siano definitivamente esclusi e schiavizzati. 

Io non lo so come sarà il futuro. Ma voglio scoprirlo, voglio – con la vertigine di chi riconosce la sproporzione della sfida – essere protagonista. Mandela, riportando una noto brano di Marianne Williamson, amava dire che la nostra più grande paura non è quella di essere inadeguati, non è l’oscurità, ma la luce che è in ognuno di noi a spaventarci: giocare al ribasso non servirà alcunché al mondo. Io non lo so come sarà il futuro, ma so che un’iniziativa personale può cambiare la storia. Basta guardarmi intorno, nella mia università a Milano, per accorgermi – con le necessarie proporzioni – di questo. Ricordo ancora tre anni fa, quando quattro amici si radunarono in un’aula per redigere il programma elettorale per le elezioni dei rappresentanti degli studenti di Giurisprudenza: il problema, dissero, è che gli studenti hanno troppi esami e non riescono a studiare quello che frequentano, sono costretti a rinunciare ad andare a lezione. Quattro anni e due mandati elettorali dopo, altri ragazzi – diversi dai primi – persino di liste diverse, stanno raccogliendo più di cinquecento firme per ottenere l’approvazione dell’offerta accademica della facoltà. Un tal movimento non sarebbe stato possibile se quei quattro amici, tre anni fa, non si fossero chiesti, alla luce della propria esperienza quotidiana, quali fossero i bisogni delle persone. Questa è una lettera alla ricerca di destinatari, questa è una lettera alla ricerca di mittenti, perché “se sarete quello che dovete essere, darete fuoco al mondo”.

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