Un corpo flessibile in movimento fra tessuti, squarci variopinti e figure geometriche; un viso mutevole e un’inconsueta capacità di usare le parole mescolandole insieme in un carillon di suoni;  è questa la miscela esplosiva che da decenni alimenta il lavoro della coppia RezzaMastrella, in scena sabato 8 gennaio al Centro Culture Contemporanee Zo di Catania con, Io. «Con Antonio – racconta Flavia Mastrella – ci siamo incontrati nel 1987 in una galleria fotografica di Roma. Io ero un’artista figurativa, lui faceva il performer; è stato così che abbiamo iniziato il nostro lavoro. All’epoca si parlava molto di contaminazione fra le arti per cui trovarci è stata una fortuna». 

Nato a Novara, Rezza si trasferisce ben presto con la famiglia a Nettuno, a pochi chilometri da Anzio, città natia della Mastrella, anche se i due artisti s’incontreranno nella capitale solo vent’anni dopo. Con il loro modo di essere così diversi eppure complementari – a Rezza è affidata la performance sulla scena ideata e allestita dalla creatività di Mastrella – hanno dato origine a un sodalizio artistico durevole che in tutto questo tempo non si è lasciato scalfire da niente e nessuno e ha dato vita a spettacoli iconici e longevi. «Io ha 24 anni, Pitecus 32 – spiega Rezza – e ancora li mettiamo in scena, come anche altri nostri lavori; questo vuol dire che sopravvivranno a noi. Io è uno spettacolo sull’individuo individualista e fa leva sulla capacità di isolarsi da una società che uno non riconosce più. Se un popolo è formato da individui di talento, la stessa società sarà migliore. Undici fuoriclasse formano una squadra senza eguali ed io credo molto nella capacità del singolo, altrimenti non farei questo lavoro».

Antonio Rezza

UN TEATRO SUI GENERIS. Fuori da ogni schema, frutto di acutezza e talento, il modo di fare teatro di RezzaMastrella è figlio di costanti sollecitazioni: «All’inizio di ogni spettacolo lavoriamo separati: Flavia crea l’habitat io faccio quello che voglio, in piena libertà. È solo alla fine che operiamo in sinergia», aggiunge l’attore. Habitat è un termine forse poco noto con cui Flavia Mastrella intende la creazione di un «luogo da far vivere ad Antonio e nel quale lui può improvvisare. È un po’ come il processo sociale, nasci in un posto e lì maturi. Anche l’estetica di un luogo ha una sua influenza sull’individuo». Dunque è così che prende forma “il genio sfrenato di un attore e l’intuito plastico di un’artista visiva originale”, proprio come riporta la motivazione del Premio Ubu 2013. «Non credo che parteciperemo più all’Ubu – commenta Rezza – perché ce ne avrebbero dovuti dare 7/8 mentre invece ce ne hanno dato solo uno alla carriera. Il Leone d’oro invece è stato un risarcimento arrivato al momento giusto grazie ad Antonio Latella e Paolo Baratta che non hanno avuto paura di riconoscere il talento altrui». Consapevole del suo valore, Rezza, non ha mai avuto timore a esprimere le sue idee con grande fermezza. «Come diceva Lec (poeta e aforista polacco morto nel 1966, ndr) il genio che non sa di esserlo forse non lo è. Cioè: se uno sa di avere una virtù non vedo perché non dovrebbe esternarla. Chi la nasconde, forse, è perché non ce l’ha» chiosa beffardo. Di vedute opposte la Mastrella: «Per me invece il genio in natura non esiste – dice –, anche in questo io e Antonio siamo diversi. Credo che sia naturale esprimersi, tutti hanno qualcosa da dire. È solo che non tutti sono portati a farlo».

IL GENIO CONSAPEVOLE. E così, in un’epoca di falsa modestia, di divi avvolti nel dramma dell’incomprensione, la coppia romana risulta ancora una volta atipica. «I nostri colleghi – risponde sollecitato Rezza – ci trattano come divinità perché non abbiamo mai accettato nessun compromesso. Noi siamo un faro anche per gli attori della nostra generazione che ci riconoscono l’integrità e questo ci fa molto piacere».  Un rigore nel rispetto dei propri principi che la coppia rivendica anche in un periodo di profondo cambiamento nel sistema teatrale italiano. «A un certo punto i soldi sono finiti e quindi si è cercato di aguzzare l’ingegno. Ad eccezione di chi si è lasciato piegare dall’elemosina ministeriale, per i quali non è mai cambiato niente. Io sono molto critico nei confronti del teatro finanziato e di questo non ho mai fatto mistero». Per essere una compagnia indipendente servono poche e semplici regole: «Nelle  grandi città, come Roma e Milano, lavoriamo ad incasso mentre altrove andiamo a cachet. L’importante per noi – afferma Rezza – è non avere la committenza dello spettacolo».

Antonio Rezza

RIPRESE. Il bilancio di questi ultimi due anni per RezzaMastrella è pesante, sebbene i due non si siano mai fermati: «Dal 2015, fino all’avvento della pandemia, abbiamo lavorato ininterrottamente – racconta Flavia – non avevamo tempo neppure per scrivere o pensare a un nuovo lavoro. Il lockdown del 2020 per alcuni versi è stato quindi una fortuna, ma anche una tragedia, perché all’improvviso ci siamo ritrovati a casa. Dopo i primi disagi ognuno si è concentrato su qualcosa, Antonio si è concentrato sulla voce, io invece ho fatto una video-lettura della Costituzione italiana recitata dagli animali (doppiati dai loro padroni). È venuto un lavoro lacerante che hanno bocciato quasi tutti i festival italiani, cosa di cui sono particolarmente fiera». 

Opinioni controcorrente anche riguardo alle politiche assistenziali rivolte al comparto dei lavoratori dello spettacolo, di fronte alle quali Rezza non cela il suo disappunto. «La precarietà è una condizione esistenziale – commenta – e non lavorativa. Penso che il teatro non abbia imparato niente da questa pandemia anche perché è stato finanziato dallo Stato che ha comprato il silenzio delle sale private, dei cinema, dei teatri sovvenzionati attraverso l’elargizione di centinaia di migliaia di euro». 

Polemica anche riguardo restrizioni e politiche sanitarie: «questo Stato reprime ogni forma di libertà per questo me ne vorrei andare via. Per vaccinarmi aspetto il parere positivo di un ematologo, ma nel frattempo non potrò spostarmi liberamente né dormire in albergo». E se in questa situazione, secondo l’istrionico attore, l’individualismo professato da Io appare quasi un’utopia, uno spiraglio di luce arriva da Mastrella: «A farci ben sperare sono i giovani. Nel nostro lavoro abbiamo rapporti con gli studenti universitari e molti di loro sono davvero in gamba e molto più lucidi della nostra generazione».

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