«Una foto è una frase, magari un paragrafo, ma non può essere mai un capitolo di un libro. La fotografia è un grande paradosso, è uno strumento per rivelare ciò che non si vede». Richard Avedon non fu appena un fotografo. Fu l’uomo che diede un nuovo volto alla fotografia, specie a quella di moda. E non poteva essere altrimenti, date le sue origini: nato a New York il 15 maggio 1923, proveniva, infatti, da una famiglia  benestante in cui la madre aveva alle spalle una famiglia di produttori di abbigliamento e, il padre, nello stesso settore, aveva un negozio. L’incontro con l’arte dello scatto fu precoce: aveva 9 anni quando ricevette in dono la sua prima macchina fotografica.

Gli abiti del negozio paterno e l’immagine della sorella furono le sue prime fonti di ispirazione. Dopo il diploma, nel 1942, si arruolò nella marina americana: con la sua fedele “Rolleiflex” regalatagli dal padre prima della partenza, si misurò con l’incarico di realizzare fotografie per documenti di identità, dettagli di autopsie e di riconoscimento dei marinai caduti. Un mestiere duro ma formativo, che influenzò profondamente il suo linguaggio visivo e l’attenzione per i particolari.

La sua carriera da professionista ebbe avvio al termine della guerra. Fu l’incontro con Alexey Brodovitch, che presto sarebbe diventato un vero mentore per Avedon in un sodalizio ventennale, ad aiutarlo nel reinventare l’immagine della moda, a mescolare vestiti e ambienti, a sbalzare le modelle dai piedistalli dei manichini su cui erano state fino a quel momento. Non solo modelle, tuttavia: l’obiettivo di Avedon seppe catturare i grandi personaggi del suo tempo come Marilyn Monroe, i Beatles, Martin Luther King, Charlie Chaplin, ma anche persone comuni ritratti negli intimi scorci del loro quotidiano.

Avedon ripeteva spesso di essere stato un uomo fortunato, Come dargli torto? Divenne fotografo  di moda nel momento in cui  sia la fotografia  che la moda erano al massimo della loro visibilità nella società. Proprio quando Christian Dior cominciava a mostrare al mondo il suo talento, Avedon si trovava ad accompagnare la direttrice di Harper’s Bazaar, la più importante rivista statunitense di moda, a Parigi. Era il 1947 e sullo sfondo di una capitale europea in fase di ricostruzione dopo la guerra, il fotografo americano comincia a studiare come reinventarsi un modo per catturare attraverso l’immagine la personalità delle sue modelle. 

Da quel momento cominciò a viaggiare molto. Tornò spesso nella città parigina, lasciandosi affascinare dalla sua atmosfera intellettuale. Ma si avventurò anche nel Sud degli Stati Uniti, seguendo le manifestazioni per i diritti civili, fotografando reduci di guerra e tutto ciò che rappresentava l’America che soffriva. Proprio in questa fase prese vita uno dei suoi lavori più struggenti: una serie di foto realizzate all’interno di una clinica psichiatrica, dal quale emergeva tutto il senso di colpa e di impotenza per non essere stato in grado di aiutare la sorella Louise quando si  ammalò.

Lo scatto presentato in questo appuntamento è un limpido esempio del suo metodo fotografico. È un’immagine scattata nel 1957, dal titolo Carmen,  ed è un grande omaggio al fotografo ungherese Martin Munkacsi, che già all’inizio del secolo fotografò le modelle in pieno movimento, rivoluzionando del tutto lo stile fotografico ed istituendo i canoni utilizzati negli anni successivi da tutti i fotografi del genere. Un’immagine di impronta quasi cinematografica, scattata in Place François Premier a Parigi. La top model italo-ungherese Carmen Dell’Orefice, altissima e naturalmente elegante, è posta al centro dell’inquadratura, con ombrello e cappotto di Cardin dalle grandi tasche laterali. Anche in questo caso Avedon indovina il momento decisivo che rende memorabile lo scatto: Carmen è colta sospesa a mezz’aria mentre scende dal marciapiede in un leggero salto, con indicibile grazia e leggerezza. L’indossatrice sembra volare, quasi sfida Richard a scattare l’attimo irripetibile, in questo caso un salto unico. L’uso di un piccolo teleobiettivo permette la sfocatura dello sfondo rendendo il soggetto ancora più dinamico.

I suoi interessi continuarono a svariare per tutta la vita tra ritratti, reportage e, naturalmente, la moda. Avedon rimase poi in bilico, tutta la vita, tra ritratti, reportage e ancora la moda, il primo amore che non seppe mai dimenticare e che spesso lo portò a rifiutare ogni genere di compromesso con gli editori. Come quando volle imporre modelle dalla pelle nera sulle copertine in tempi in cui non si parlava di inclusione.  Si trovava in Texas, l’1 ottobre del 2004, proprio per il New Yorker, quando è morto, a ottantuno anni, di emorragia cerebrale, mentre stava realizzando una inchiesta fotografica sulle elezioni Usa che si sarebbero svolte da lì a un mese. Un’uscita di scena che gli si addiceva, lui che sempre rimase in servizio. Innumerevoli le mostre in vita e dopo la morte che hanno raccontato il lungo percorso fotografico di Avedon. Ha anche ricevuto numerose lauree honoris causa, nel 2003 ha ottenuto il National Arts Award alla carriera e il più importante premio da parte della Royal Photographic Society, una delle società fotografiche più antiche al mondo, per il contributo all’arte attraverso la fotografia.

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