Per combattere la corruzione non serve l’eroismo di pochi ma la collaborazione tra molti. Ecco perché un libro sulla corruzione non poteva non avere la forma di un dialogo e la voce di due mondi che devono cooperare tra di loro: la Chiesa e lo Stato. Tre testimonianze e tre relatori di eccezione (Roberto Di Bella, Presidente del Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria; Sebastiano Ardita, membro togato del CSM; Enzo Guarnera, associazione “Antimafia e legalità”) per presentare il volume Dialogo sulla corruzione, pubblicato da Editoriale Scientifica e scritto a 4 mani dal prefetto Claudio Sammartino e dall’arcivescovo di Monreale Michele Pennisi. Interventi differenti ma un punto di vista comune: per contrastare illegalità e corruzione occorre l’impegno di tutti e una nuova pedagogia civile per le nuove generazioni.

IL VALORE DELLE AZIONI CONCRETE. Il prefetto Claudio Sammartino e l’arcivescovo Michele Pennisi si sono incontrati durante un convegno organizzato dall’arcivescovato di Monreale ed è nata così l’idea di un libro per confrontarsi e dibattere sulle pratiche che possono contrastare la corruzione. «Per prevenire il contagio della corruzione – ha affermato il prefetto – bisogna costruire degli anticorpi. È un cancro che si riproduce velocemente e prospera nel disinteresse dei cittadini e nei ritardi della pubblica amministrazione. Per contrastarlo serve un’amministrazione efficiente che sia al servizio esclusivo del cittadino e ricostruisca il rapporto di fiducia con questo. È poi necessario riedificare la coscienza, quella del singolo e delle comunità, attraverso le testimonianze personali. Non ultima l’importanza degli esempi concreti dei cittadini e il contributo di ciascuno di questi». Serve insomma l’impegno di tutti per tradurre i tanti pamphlet scritti sull’argomento in pratiche concrete, come hanno fatto e fanno ogni giorno i due autori del testo. «Le parole non sono sufficienti– ha sottolineato Mons. Pennisi– non basta dire che il Vangelo e la mafia sono incompatibili, servono azioni concrete, come impedire ai mafiosi di far da padrini per battesimi e comunioni, inserire negli statuti delle confraternite il divieto di iscrizione per chi ha gravi condanne per mafia e negare i funerali pubblici dei mafiosi. Queste azioni incidono e la gente comprende che dalle idee bisogna passare ai fatti». Azioni concrete di cui i tre relatori si sono fatti testimoni, dimostrando come collaborazione e solidarietà siano la giusta ricetta per un Paese più legale.

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LIBERI DI SCEGLIERE. Roberto Di Bella presiede il Tribunale per i Minorenni di Reggio Calabria ed è divenuto noto per una pratica definita Erasmus della legalità. «Negli ultimi 20 anni il Tribunale ha trattato più di 100 procedimenti per reati di criminalità organizzata e più di 50 per omicidio o tentato omicidio tutti imputati a minorenni legati alle storiche famiglie di ‘ndrangheta del territorio. Nel 2020 l’ufficio giudiziario processa insomma i figli di chi aveva processato negli anni ’90, a testimonianza che la cultura di ‘ndrangheta si eredita all’interno della stessa famiglia». Proprio da questa presa di consapevolezza nel 2012 il tribunale decide di non agire più solo in termini penali e repressivi, ma di attuare provvedimenti civili di decadenza o limitazione della responsabilità genitoriale con contestuale allontanamento dalle famiglie nei casi più gravi. «L’obiettivo è quello di tutelare questi ragazzi, dotandoli degli strumenti necessari per essere liberi di scegliere e dando risposta ad un bisogno sociale». Questo progetto dimostra come la prevenzione e l’attenzione dello Stato nei confronti dei bisogni dei più deboli siano uno strumento vincente nella lotta contro corruzione e mafia. Ma ciò che è più interessante è la rete di sostegno cresciuta intorno al progetto. «Avviato il protocollo “Liberi di scegliere” è accaduto qualcosa di sorprendente: molte madri sono venute da noi per chiederci di essere allontanate insieme ai loro figli dalla Calabria. Spesso però non ricorrevano i presupposti per accedere alle misure di protezione, per questo abbiamo cercato di fare rete con Libera e con la Conferenza Episcopale italiana che finanzia il progetto con l’8 per mille». Liberi di scegliere dimostra – come sostiene il volume Dialogo sulla corruzione – che l’illegalità non si combatte solo con la repressione, ma principalmente con la prevenzione.

MEGLIO PREVENIRE CHE CURARE. «Il nostro paese – denuncia Sebastiano Ardita, membro togato del CSM – concepisce la repressione come l’unica medicina possibile laddove questa è invece una chirurgia che interviene solo quando non è possibile nessun altro intervento. Bisognerebbe sempre tenere presente il meccanismo che porta a commettere determinati reati per contrastarlo». Questo vale, come ha spiegato Ardita durante il dibattito, soprattutto per la criminalità organizzata che sfrutta le schiere di giovani dimenticati dallo Stato e dalla società, come bacino per il suo reclutamento. «La prevenzione – prosegue Ardita – deve poi attuarsi mediante la formazione di una classe dirigente consapevole del compito che è chiamata a svolgere. Non da ultimo ogni istituzione pubblica dovrebbe occuparsi di corruzione e non solo l’Anac, come sottolinea il prefetto Sammartino, mentre la funzione pastorale deve essere esplicata fattivamente sul territorio, come ricorda Mons. Pennisi». Un’azione congiunta che veda impegnate tanto le istituzioni quanto i cittadini è allora l’unica via per un Paese più giusto.

LEGALITÀ CULTURA DI VITA. L’avvocato Enzo Guarnera fa parte dell’associazione “Antimafia e legalità” con la quale si occupa non solo di contrastare i fenomeni dell’usura e dell’estorsione ma anche di educare i giovani andando nelle scuole.«In virtù della mia esperienza in politica – ha affermato Guarnera – ho toccato con mano che il sistema della corruzione imperversa in buona parte della politica in maniera trasversale e che il problema non è il colore del partito, ma l’atteggiamento di chi ne fa parte e il sistema del privilegio. All’interno di questo sistema, in cui tutti cercano di favorirsi in maniera illegale con reati spesso non denunciati e a discapito dei cittadini, la vera questione è come prevenire il sistema dell’illegalità. Prevenzione significa operare affinché le nuove generazioni siano educate ad una cultura della legalità, intesa come cultura della vita, e comprendano che l’illegalità è invece cultura di morte che genera disgregazione». Una nuova educazione insomma che ponga le sue basi sulla coscienza civile di ciascun cittadino. «Parlare con i giovani a scuola – prosegue Guarnera – e operare nei quartieri periferici è la strada. Bisogna creare un sistema alternativo che operi per i cittadini e soprattutto per gli ultimi, eliminando le disuguaglianze sociali. Ma ciò che più ci occorre è la solidarietà nella legalità». Solo insieme possiamo sconfiggere questo virus che sottrae speranze e futuro ai giovani. Il dibattito, curato da Sicilian Post e moderato dal suo direttore Giorgio Romeo, si è concluso proprio con le domande dei più giovani. Da queste emerge come la principale incertezza per le nuove generazioni sia in che modo rifiutare ogni compromesso nell’epoca della precarietà lavorativa. La risposta a questa e ad altri quesiti rimane la stessa: scegliere la legalità, l’unica a garantire la libertà, la sola ad essere cultura di vita.

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