«C’è un paradosso quando guardiamo attentamente le fotografie. Vediamo la bellezza e vediamo il lato oscuro delle cose. Ogni immagine è in qualche modo un “ritratto”, non nel senso che riproduce i tratti di una persona, ma nel senso che attrae e richiama, estrae qualcosa, un’intimità, una forza misteriosa che abbiamo dentro».

Sally Mann, considerata una delle più importanti fotografe americane ancora in vita, nata il primo maggio del 1951 nel sud degli Stati Uniti, in Virginia, più precisamente a Lexington, si diploma nel 1969, e si laurea in Arti con lode, presso l’Hollins University nel 1974. Si innamora presto della fotografia e, incoraggiata dal padre che gli regala una macchina fotografica 5×7, si appassiona all’uso di strumenti di grande formato che non abbandonarà mai. Recupera in un mercatino una fotocamera 8 x 10 vecchia di cento anni e comincia a usare per la stampa tecniche come il collodio umido, risalente al 1860, con l’uso di negative di lastre di grandi dimensioni.

Un procedimento distante anni luce dalla precisione fredda cui ci ha abituato la tecnologia digitale. La lastra viene sensibilizzata prima dell’esposizione immergendola in una soluzione di nitrato d’argento. Per questo motivo è necessario che la camera oscura sia nelle vicinanze, perché i negativi devono essere esposti e trattati umidi. Una delle caratteristiche distintive di Sally era l’utilizzo di un furgone a mo’ di camera oscura portatile. Il particolare effetto che il collodio conferiva alle immagini in bianco e nero portava con sé un carattere malinconico e nostalgico. Un’atmosfera senza tempo, indefinita, sospesa tra amore e morte. Le sue foto fanno scaturire spontaneamente domande profonde: da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?

Conosciuto per i ritratti intimi della sua famiglia e per i paesaggi evocativi e risonanti nel sud degli Stati Uniti, tutto il lavoro fotografico della Mann ha suscitato spesso grandi critiche e polemiche, già dalla sua prima pubblicazione del progetto fotografico ”Immediate Family”, dove ritrae in bianco e nero i suoi figli, anche senza veli, durante i vari momenti della vita.

Sally ha uno stile fotografico che omaggia il secolo precedente, ma con un occhio verso il fotogiornalismo contemporaneo, così per la prima volta i bambini appaiono arrabbiati, sporchi, deformi se malati o col naso sanguinante, una visione senza filtri, tanto personale quanto familiare a tutti noi. I suoi scatti incuriosiscono, inducono a viaggiare nel tempo, come se alla vista di quei volti si abbia voglia di rivederli da grandi. Più che semplici fotografie, le sue immagini trasmettono il fascino di una vera e propria visione, preziosa, effimera e unica. 

Lo scatto presentato è una posa classica di due dei tre figli di Sally. Jessi e Virginia, in un parco ombroso, posano per la mamma, mentre Jessi si atteggia ad adolescente che ha premura di diventare grande portando a spasso sul passeggino un bambolotto, facendo finta di fumare una sigaretta. Virginia, da parte sua, con degli occhiali molto grandi per il suo viso coccola un altro bambolotto. L’immagine possiede una luce particolare con le ombre ammorbidite dalla tecnica usata del collodio umido. La bellezza innocente dei due soggetti immortala, senza neppure accorgersi, il fascino del tempo che passa inesorabilmente. Un po  tutti i suoi scatti sono avvolti da un alone di inquieta bellezza e sconcertante stupore che affascina e lascia al contempo perplesso, chi li osserva.

Pregnante la sua considerazione riguardo alla sua lunga carriera, che la Mann accosta alla propria vita familiare: «Per quanto le nostre impronte fossero effimere sulla sabbia lungo il fiume, così sono anche quei momenti dell’infanzia catturati nelle fotografie e così sarà la nostra stessa famiglia, il nostro matrimonio, i figli che l’hanno arricchita e l’amore che ci ha accompagnato così tanto. Tutto questo sarà finito. Quello che speriamo rimarranno sono queste immagini, che raccontano la nostra breve storia».

All’inizio degli anni ’90, Sally Mann sceglie di fotografare la sua famiglia sempre più di rado, preferendo concentrarsi sulle meraviglie paesaggistiche che fanno da sfondo alla sua abitazione: colline, ruscelli e foreste. Nel decennio successivo si spinge ancora più a Sud, con l’intento di immortalare il doloroso retaggio che la storia americana, tra guerre, sofferenza, ingiustizie e morte, ha lasciato sulla terra. Immortalando ancora una volta l’instabilità della memoria, la fragilità del corpo, le devastazioni del tempo e la misteriosa dicotomia tra materia e spirito.

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