«Però nn’abbastau ocche pattit’o caccettu pp’addivintar’amici, ppi ghessiri’n cunfirenza.T’’a squarasti ca sugnu ’n carusu bbonu, no? T’’a squarasti ca non sugnu tintu». Era il 2007 e Savì Manna trascorreva intere giornate, tra San Cristoforo e il Fortino, a casa del drammaturgo Carmelo Vassallo per studiare Lupo, un binologo – come amava definirlo il suo autore – che già nel 2002 aveva visto la luce dei palcoscenici. Lì, nel cuore pulsante e selvaggio della città, fra vicoli tortuosi e cortili dove la storia si è fatta pietra, giorno dopo giorno la parola prendeva vita. La storia, ambientata negli anni Settanta proprio in quello storico rione etneo, vede nascere e consumarsi l’intensa amicizia fra il quindicenne Cocimu e il trentenne Lupo. Sono trascorsi quindici anni da quel debutto al Gatto Blu e dodici anni dalla prematura scomparsa del samurai Vassallo, dal fisico imponente e dallo sguardo profondo, prima che Manna, il suo erede spirituale, decidesse di riportare in scena il testo. Così sabato 26 e domenica 27 febbraio Lupo tornerà a risuonare fra le pareti del Centro Culture Contemporanee Zo di Catania; un luogo simbolo dove tutto ha avuto inizio.

RIFIUTO E TRAGEDIA. In questa nuova ed emozionante edizione, dove sarà comunque forte la presenza di Vassallo, Manna oltre a curare la regia vestirà anche i panni dei due protagonisti. «Dal momento – spiega l’attore e regista – che i due personaggi non si relazionano mai tra di loro, ho pensato di farli portare in scena da un solo attore. Melo ha sempre sostenuto che è Cocimu il motore dell’azione, un personaggio al quale sono particolarmente legato avendolo già interpretato in passato e che, come me, in questi anni è cresciuto, cambiato. Naturalmente lo sforzo più grande l’ha richiesto Lupo, una figura tutta d’un pezzo, piena di vitalità. Sento anche la responsabilità di riportare in vita quel personaggio che a lungo fu interpretato da Melo». Sullo sfondo la tematica scottante dell’omosessualità taciuta, forse appena sussurrata, in un contesto sociale complicato. «Proprio qualche giorno fa a Napoli un professore è stato massacrato di botte per aver parlato di questioni Lgbt in classe – afferma – quindi è sempre un tema attuale. Cocimu è un quindicenne che non solo non riesce a comprendere appieno il sentimento di attrazione che ha nei confronti di quest’uomo, Lupo, che a differenza sua non si lascia minimamente scalfire dal giudizio degli altri, ma teme l’opinione della madre e del quartiere. Così anziché far sfociare questo sentimento in gioia e bellezza, lo trasformerà nella più nera delle tragedie».

LA MAGIA DELLA MUSICA. Da artista di strada con “I Batarnù” ad attore il passo è breve per Savì Manna, ed è l’incontro con Vassallo a cambiargli la vita. Per quell’impronta così forte lasciata prima con lo spettacolo Donna Nedda e poi in Lupo, che Manna ha dedicato al Maestro anni del suo lavoro. «Di solito sono più istintivo, – dice – questa volta invece ho capito che avevo bisogno di tempo per affrontare il testo. Ci lavoro costantemente da marzo perché credo che solo provando si riesca a trovare la via giusta». Ad accompagnare sul palcoscenico l’attore catanese, ci saranno il contrabbassista Andrea Marino e il sassofonista Davide Peri, chiamati a restituire le sonorità del mare. «Chiudendo gli occhi – aggiunge – sembra proprio di sentirlo. Per tanto tempo Melo ed io abbiamo reso questo suono, che in qualche modo simboleggia la solitudine di Lupo, con la sola voce. Oggi ho scelto di affidarlo a dei musicisti per avere anche il tempo di passare da un personaggio all’altro, cambiandolo in profondità». L’atmosfera popolare, brulicante, viene poi amplificata dalla cadenza del dialetto catanese.

Manna esordisce come autore teatrale nel 2009, con Turi Marionetta, uno spettacolo più volte premiato e portato in scena anche in Francia e Canada.Tre anni più tardi è la volta di Importante, molto importante, la trilogia e infine Patrizzia, la vera storia di una sensation seeker e Ogni storia ha la sua musica, melodramma sulla Shoah. «Non è un caso che due dei miei quattro spettacoli – dice – siano in dialetto. Io penso e ragiono in siciliano, una lingua così potente da riuscire ad amplificare l’immaginazione. È come un quadro dentro cui ci si perde. Nell’opera c’è l’immaginario di San Cristoforo con i suoi personaggi e punti di riferimento reali ma anche la semplicità di un testo in cui la quotidianità e la concretezza si mescolano alla poesia».

IL PARADOSSO DEL GENIO. Carmelo Vassallo era un perfezionista, un infaticabile attore, un autore ispirato che ha saputo raccontare con verità la città che oggi lo rinnega. Eppure a Genova e Milano, dove il drammaturgo ha trascorso molti anni della sua vita, o addirittura all’estero, le sue opere hanno avuto grandi consensi e fatto incetta di premi, come il Riccione Teatri per Lupo o il Biglietto d’oro per Naja, che gli valsero anche un invito alQuirinale e l’anno dopo al Palazzo Presidenziale del Venezuela. In entrambi i casi però Vassallo declinò, proprio come avvenne quando lo chiamò il critico Franco Quadri; per lui giovane promessa nel Catania di Massimino, il teatro, senza fronzoli dove narrare gli ultimi, gli emarginati, era tutto. «Non riesco a capire – osserva con fermezza Manna – come un personaggio di questa caratura stilistica, così potente eppure così poetico, sia finito nel dimenticatoio. È un figlio di cui questa città dovrebbe essere orgogliosa ma, fatta eccezioni per alcuni addetti ai lavori, è come se Melo non fosse mai esistito». Qualche anno fa Bonanno editore ha pubblicato una racconta con i suoi tre drammi della maturità artistica, poi è stata la volta del regista Guglielmo Ferro che per il Teatro Mobile ha portato in scena Lupo, ma a parte queste due parentesi la città non ha memoria di Carmelo Vassallo. Ecco perché la messa in scena di Manna si carica di un grande valore non solo celebrativo ma anche pedagogico, consentendo a chi ha perso traccia di un autore della nostra contemporaneità di poterlo finalmente ritrovare.

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