Una nazione così vicina eppure poco conosciuta, se non attraverso notizie di seconda mano e tanti pregiudizi. È bastato recarsi sul luogo e avere come guida il 47enne ristoratore e pioniere messinese per scoprire un Paese affascinante e forse non così distante dalla nostra terra

«Ciao nonna vado qualche giorno fuori città con le mie amiche» «E dove vai?» «A Bucarest» «Unni?» «In Romania, nonna». La sua domanda successiva ve la starete, probabilmente, facendo anche voi: «Che vai a fare in Romania?». Potrei rispondere che il suo parlamento è la struttura più pesante al mondo, che ci sono le terme più grandi d’Europa, menzionare i misteriosi paesaggi di Dracula o che i giardini sono pieni di lalele, i tulipani che alcune signore vendono per strada a un leu (0,21 euro). Ma la verità è che meta si fa scegliere per la sua economicità. Poco tempo e qualche chiacchierata con gli autisti di Uber per scoprire qualche cosa in più sul luogo: ad esempio che non è vero che cantare Dragostea Din Tei o nominare Ceausescu sia illegale, che un detto recita “il miglior legume è la carne di maiale” e che i rumeni ammirino Traiano, l’imperatore dell’Urbs Aeterna che fece dell’allora Dacia una provincia romana, (conquista che fra l’altro coincise con la massima espansione di Roma); ma soprattutto ho imparato che la Romania vibra di voglia di riscatto e forse è proprio l’essere ancora inviolata dai turisti a renderla affascinante. Ce lo confermano Amalia e Domenico, lei 40enne rumena di origini greche, lui 47enne messinese, che da 15 anni hanno nel cuore di Bucarest l’unico ristorante in Romania tipico siciliano: si chiama “Belli Siciliani” e grazie alla loro attività Domenico è stato insignito dalla Regione Siciliana in occasione di Milano Expo 2015 del titolo di ambasciatore dell’autentica cucina siciliana.

LA SICILIA NELLA TAVOLA DI STRADA MATASARI. Profumo di caffè e “Uno Mattina” in tv: ci accoglie così Amalia, ex assistente di volo. Lei, Domenico e i loro due figli da “Belli Siciliani” ci vivono e hanno realizzato anche un B&B per estendere ai turisti la loro ospitalità che sa di Trinacria. I due si scambiano battute in dialetto che anche lei parla bene. «Sono laureata in lingue ma ho dovuto imparare il messinese perché avendo lavorato per molto tempo all’aeroporto di Catania avevo la pronuncia catanese e lui ci scherzava su. Io comunque sono una fan di Litterio e Salvo La Rosa, li guardavamo sempre, adesso non ci perdiamo Montalbano». L’aria che si respira è di casa: dai tavoli in pietra lavica alle decorazioni delle porte dipinte da studentesse siciliane di belle arti, passando per le mappine, i quadri e il carretto nel cortile. La Sicilia la si sente nel cuore e nella pancia. Il menù, in quattro lingue, accoglie le tipiche portate meridionali, dal pisci stoccu alla missinisi alla pasta ca linticchia, fino ai cannoli e alla frutta martorana, tutto accompagnato da Spuma e Chinotto Tomarchio e bottiglie da vigneti di Salina. «Le ricette sono della sua famiglia; le sorelle, poi, preparano sott’oli e limoncello e li spediscono», Amalia sottolinea con un pizzico d’orgoglio la genuinità di quei piatti che sfogliamo insieme. I “Belli Siciliani” difendono l’autenticità dei prodotti nostrani, a partire dagli oli aromatizzati della nostra terra, unica concessione a chi chiede ketchup, e soprattutto spiegando la vera ricetta del cannolo nei programmi televisivi di cucina che li hanno resi volti noti. «Qui il cannolo è un business ma lo riempiono con qualsiasi cosa, mascarpone, spinaci, uva passa», precisa Domenico che indossa una felpa con la Sicilia sul lato del cuore e la mozzarella a destra. «Questo è il logo del nostro caseificio: è a circa 20 km da qua, lo abbiamo messo su tre anni fa per contare sempre su ricotta e formaggi freschi. Il prossimo passo sarà produrre arancini a livello industriale: abbiamo già i macchinari ma qui ancora non sono molto conosciuti». La clientela tipo? «Mista ma alta. I romeni ci apprezzano moltissimo, vengono anche alle 10.30 per pranzare in pace perché siamo sempre pieni».

VIVERE NELLA CITTÀ FELICE. Alla domanda se ha mai pensato di ritornare a Messina Domenico tronca: «E per fare cosa? La gestione è difficile dal punto di vista burocratico ma le tasse sono all’1%, al 3% o al 16%, a seconda dei guadagni. Aprire un’attività qua è conveniente però ci devi essere tu, non puoi delegare». L’interrogativo sorge spontaneo: come mai c’è chi emigra? «Perché Bucarest è capitale europea, fuori è un altro mondo. Qui se vuoi lavorare le opportunità ci sono ma manca la scaltrezza del “rubare con gli occhi”: molti non pensano che lavorando oggi come aiuto-pizzaioli domani potrebbero aprirsi un locale proprio e preferiscono cambiare mestiere se la paga è di poco superiore. Non hanno la prospettiva a lungo raggio», ci confida Domenico non senza un po’ di rammarico per la nazione che ha imparato ad amare. Gli facciamo notare che ci siamo sentite sicure in città costantemente circondate da forze dell’ordine ma che colpisce la discrepanza nell’architettura urbana: palazzi fatiscenti convivono con strutture moderne quasi come fossero sorte dal nulla. «Lo è. Considera che la dittatura cadde nel 1989. Tutto va migliorando, anche se fuori la capitale la situazione è difficile». Questo non smette di ripeterlo. Quando gli chiediamo cosa manca a suo parare a questa nazione per crescere risponde: «Qui manca personale qualificato ma se sei capace vai avanti, non ci sono raccomandazioni». Bucarest, apprendiamo, significa “città felice”: la speranza è che il senso di questo toponimo possa abbracciare l’intera nazione. Il suo popolo, con la sua storia, i papanasi, dolcetti caratteristici, e la ie, la camicetta tipica: la calamita che da oggi abbellisce il mio frigo rappresenta un popolo, con la sua storia, che conosco un po’ meglio e qualche pregiudizio lasciatomi alle spalle.

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