«Tra cambiamento climatico, agricoltura e siccità purtroppo c’è un legame molto stretto. Ma anche per fortuna: proprio perché l’effetto è combinato, intervenire sull’agricoltura significa intervenire sulla siccità e quindi sul climate change». A parlare è Daniela Vanella docente presso il Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università di Catania, parte del team di ricerca della sezione Idraulica e Territorio che partecipa al progetto internazionale PRIMA 2020 dal titolo “Handy tools for sustainable irrigation management in Mediterranean crops”, noto come Handywater. «L’obiettivo – spiega Vanella – è incrementare l’efficienza d’uso dell’acqua negli agrosistemi mediterranei, nello specifico agrumeti e oliveti, attraverso strategie e tecniche innovative. In poche parole, studiamo quando e quanto irrigare in modo da salvaguardare l’acqua minacciata dai cambiamenti climatici». Gli ultimi eventi di luglio dovrebbero aver reso ancora più chiara l’urgenza di trovare nuove soluzioni. Le temperature record, che hanno visto Catania registrare il picco di  47,6 °C, ma anche la frequenza di eventi climatici estremi come la grandine che nello stesso periodo si è abbattuta su Milano non sono fatti eccezionali, una mera parentesi del nostro tempo: sono il nostro tempo, il riflesso della nuova era geologica che stiamo vivendo – l’Antropocene –, quella in cui le nostre scelte e le nostre azioni stanno trasformando la Terra in un film distopico che dalla tavola si ripercuote su tutta la nostra vita. «In questo contesto conoscere come gestire l’acqua in campo agricolo potrebbe aiutarci a fare la differenza». In che modo?

Il sistema di monitoraggio delle interazioni suolo-pianta-radice applicato ad agrumeto sottoposto a pratiche di gestione sostenibile della risorsa idrica e del terreno

IL PROGETTO. Il team catanese, coordinato dalla prof.ssa Simona Consoli, lavora in particolare a Lentini dove c’è un centro sperimentale gestito da Crea-Ofa (il Centro di ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria). Oltre che in Italia, ci sono siti sperimentali in Spagna, Egitto e Marocco. «Tutti territori provati dall’aumento delle temperature, in cui il fabbisogno idrico delle piante e dei suoli non può essere compensato dalle piogge, in estate pressoché assenti, ma abbondanti nel corso dell’anno. Il problema è che vengono distribuite con carattere eccezionale in momenti non utili per lo sviluppo della pianta. E ciò causa stress idrico». Il prodotto ultimo? «Un sistema di supporto alle decisioni per suggerire il volume irriguo da applicare». La ricerca, iniziata nel 2021 ha una durata triennale. «Stiamo affinando i risultati per renderli di facile accesso e dimostrare la sostenibilità delle scelte che proponiamo». Un progetto ambizioso, coordinato dall’Instituto Valenciano de Investigaciones Agrarias, che vede dialogare enti di ricerca, università e imprese.

«Alcuni agricoltori credono che basta avere un pozzo per poter irrigare quanto si vuole. La nostra sfida è convincerli che la sostenibilità è una vittoria per tutti»

PAROLA D’ORDINE: INNOVARE. Tra queste: Asdron Spain, un’azienda spagnola che si avvale di droni con sensori termici e multispettrali; la tedesca UFZ (Helmholtz-Zentrum für Umweltforschung) e la siciliana Irritec, con sede a Capo d’Orlando insieme alla quale stanno testando ali gocciolanti sotterranee per la distribuzione dell’acqua. Tra gli strumenti testati incuriosisce una fotocamera interfacciata con lo smartphone che permette di avere subito un quadro dell’esigenza idrica della pianta inquadrata. «Ci avvaliamo anche di sonde di umidità a basso costo – prosegue – installate nei campi. Considerato che le sonde che propongono una determinazione precisa del fabbisogno idrico colturale si aggirano sui 70mila euro, abbiamo preferito rinunciare alla massima accuratezza al fine di rendere applicabile il sistema su larga scala. Le nostre ne costano circa 200 e vengono meglio incontro alle esigenze di agricoltori, associazioni, consorzi, cooperative».

I sensori che monitorano il contenuto di acqua nelle radici di un arancio

ALLA PORTATA DI TUTTI. Questa attenzione costante ai concreti bisogni degli stakeholder non si limita alla scelta delle soluzioni tecnologiche più adatte: «Oltre a proporre strumenti a basso costo – spiega ancora Vanella – utilizziamo protocolli di monitoraggio semplificati che integrano diversi dati di accesso gratuito, come quelli agrometeorologici». I ricercatori lavorano a stretto contatto con gli operatori del territorio, coinvolti direttamente attraverso sperimentazioni, sondaggi, workshop e seminari. «Vogliamo mostrare – continua la docente – che applicare strategie di risparmio idrico non è solo sostenibile, ma ha anche un vantaggio economico. Consumare più acqua non aggiunge nulla né alla produzione né alla qualità dei prodotti. Anzi, per gli agrumi abbiamo visto che volumi ridotti di acqua, ad esempio, migliorano il quantitativo di zuccheri».

QUESTIONE DI SENSIBILITÀ. La sfida, in tal senso, è anche fare breccia in consuetudini e convinzioni a volte difficili da scardinare: «Quando proponiamo agli agricoltori di adottare le nostre soluzioni per limitare lo spreco di acqua – chiosa Vanella – alcuni di loro ancora ci rispondono che basta avere un pozzo per poter irrigare quanto si vuole. Sul piano della ricerca possiamo affinare le tecniche ma se poi i risvolti scientifici, oltre ad essere pubblicati su riviste eccellenti o presentati in convegni internazionali, non hanno una applicabilità nei territori rimangono fini a sé stessi. Per noi è fondamentale vincere la diffidenza e diffondere consapevolezza: senza sensibilizzazione tutto il resto non ha senso. Il successo della ricerca è mostrare che sul piano della sostenibilità vinciamo tutti. Il reale trasferimento di innovazione può salvarci da scenari distopici».

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