Nel 1800 la Sicilia produceva il 98% della richiesta mondiale di zolfo attraverso lo sfruttamento del lavoro minorile. Un passato sconosciuto che ritorna alla luce in provincia di Caltanissetta

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]C[/dropcap]urvo, quasi toccando con la fronte lo scalino che gli stava sopra, e su la cui lubricità la lumierina vacillante rifletteva appena un fioco lume sanguigno, egli veniva su, su, su, dal ventre della montagna, senza piacere, anzi pauroso della prossima liberazione. Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola, eccola là, la Luna… C’era la Luna! La Luna!»

L’oscurità della miniera rischiarata da piccole lanterne e il buio della notte illuminata dalla luna: con questo accostamento Luigi Pirandello in Ciaula scopre la Luna (1907) racconta l’estrazione dello zolfo, una delle pagine più dure nella storia ed economia della Sicilia.

L’interno della miniera

Un capitolo poco noto, ai più sconosciuto o dimenticato: le province di Enna, Caltanissetta, Agrigento e parte di Palermo producevano il 98% della richiesta mondiale di zolfo ma la Sicilia non si è mai arricchita né è riuscita a trasformarla in un’economia fiorente perché veniva sfruttata da aziende estere. Gli operai erano pagati per la sola estrazione, ma gli imprenditori rivendevano anche il gesso con cui il non-metallo era naturalmente mischiato persino i materiali di scarto.

Le miniere sono soprattutto il più chiaro esempio di schiavitù e lavoro minorile nel periodo della Belle Époque, del progresso inarrestabile e della ricchezza: «I carùsi– racconta Giuseppe Glaviano, guida del Museo della Zolfara di Montedoro – erano soprattutto giovani che venivano “venduti” dalle famiglie all’età di otto o dieci anni a fronte del pagamento di una caparra detta soccorso morto, che era restituita, sommando ad essa gli interessi maturati nell’arco di tempo in cui avevano tenuto la somma) nel caso di ritiro dal lavoro dell’operaio e trattenuta solo in caso di decesso».

Il museo della zolfara

Montedoro, in provincia di Caltanissetta, è molto legato al passato delle miniere, la cui storia inizia nel 1818 e che ha subìto una profonda depressione a seguito della loro chiusura. «Se prima la situazione era triste – racconta Davide Petix, responsabile dell’Associazione StarGeo, che da tre anni gestisce il Parco Urbano del comune siciliano – dopo è stato anche peggio perché gli abitanti si sono ritrovati senza lavoro».

Un percorso fotografico, con plastici in terracotta, grafici e testimonianze racconta questo capitolo siciliano e fa immergere del tutto il visitatore con l’ingresso nel cuore della terra, per far toccare con mano la pietra negli stessi spazi angusti in cui lavoravano i carùsi: un carattere meno scientifico-mineralogico e più antropologico, come spiega Petix: «Raccontiamo storie, per questo abbiamo deciso di dare un tratto etnostorico: ogni giorno, per noi, è un luogo di incontro e confronto anche grazie al racconto delle testimonianze dei nonni dei nostri visitarori».

A differenza delle altre zolfare, quella di Montedoro era una miniera sociale fondata dagli operai riuniti in cooperativa: «Fu l’unica chiusa a causa di incidenti – continua Petix – che ovviamente capitavano in tutte le miniere, ma solo questa ricevette un’ordinanza di chiusura per insicurezza».

Un momento della visita alla Zolfara

L’esperienza prosegue, come per Ciaula, dalla miniera alla Luna e oltre, in un filo logico che porta dal museo al Planetario: una cupola larga sette metri mostra in una ricostruzione digitale, l’universo in ogni suo dettaglio, inclusa una simulazione di come si vedrebbe il cielo se non ci fosse l’atmosfera.

«Come per il museo – prosegue Petix – anche per il Parco astronomico abbiamo deciso di puntare sulla divulgazione anziché le ricerca; per questo dialoghiamo molto con le scuole e i bambini, che a volte riescono a stupirci: ad esempio un bambino di tre anni ha insistito per venire con la famiglia e conosceva i nomi di tutti i pianeti in base alla distanza dal sole. Questa è una bella gratificazione».

Una grande scommessa per un polo culturale in un paese che conta solo 1600 abitanti: «Ogni anno incrementiamo il numero di visitatori – conclude Petix – Siamo già a oltre quattromila l’anno e se consideriamo che il Museo regionale di Caltanissetta ne conta poco più di seicento con 25 dipendenti, siamo sempre più convinti che stiamo percorrendo la strada giusta».

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