«Al di là della bellezza delle opere esposte, la mostra di Caravaggio a Milano è inutile, perché non c’è un solo quadro che non sia già conosciuto. Qui, invece, proponiamo al visitatore delle cose totalmente nuove: a fianco di nomi celebri come Giotto e De Chirico si trovano artisti mediamente conosciuti come Mattia Preti, Juesepe De Ribera, e altri quasi del tutto ignoti come Francesco Prata, Jacopo da Valenza. Sebastiano Ceccarini. Questa miscela serve ad aumentare il piacere della scoperta». Ha presentato così Vittorio Sgarbi la mostra “Da Giotto a De Chirico. I tesori nascosti”, da lui curata e appena allestita negli spazi di Castello Ursino a Catania. L’esposizione, visitabile dal 26 ottobre 2017 al 20 maggio 2018 è un progetto di Contemplazioni, con il patrocinio del Comune di Catania, promossa da Fenice Company Ideas e dalla Fondazione Cavallini Sgarbi, con il sostegno di SAC e di Confcommercio Catania, SNAG (Sindacato Nazionale Autonomo Giornalai), FIT (Federazione Italiana Tabaccai) e Sostare.

L’ALLESTIMENTO. La mostra , che propone oltre 150 opere, si dipana lungo due livelli del Castello Ursino. Ad accogliere il visitatore sono due teste muliebri marmoree (prime sculture “italiane” riferite a un maestro federiciano della metà del Duecento) e una tavola della fine del XIII secolo: la “Madonna” di Giotto, una delle opere cardine della mostra. Via via che si prosegue ci si addentra in un vero e proprio viaggio nel tempo lungo sette secoli. Troviamo quindi la “Vergine Maria” di Paolo Veronese e il “Profeta” di Jusepe De Ribera. «Per alcuni versi – commenta Sgarbi durante il tour riservato alla stampa – è più bello di alcuni lavori di Caravaggio». Proprio del grande maestro milanese la mostra propone una la “Maddalena addolorata”, tela struggente (ancorché molto discussa già in occasione dell’allestimento napoletano della mostra che ha preceduto la tappa catanese). Sala dopo sala il percorso temporale ci porta poi avanti nei secoli con la “Natività di Cristo” di Ignaz Stern detto Ignazio Stella (1728), “Oro di Pompei (o Oro di Napoli)” di Domenico Morelli (1863-1866 circa) e “Piccolo cantiere” di Francesco Lojacono (1880-1890 circa). Voltato l’angolo (letteralmente) si approda invece al Novecento con “I Bagni misteriosi” (1937-1960) di Giorgio de Chirico, “Il tavolo del maresciallo” (1957) di Pippo Rizzo e “Damigiana e bottacino (Natura morta nordica)” del 1959 di Renato Guttuso. Il percorso della mostra – comunque chiaro e ben allestito anche dal punto di vista dell’illuminazione – è inframezzato dalle opere in esposizione permanente del museo etneo. «Fin dalla prima mostra che ho curato qui, abbiamo subito capito che questo museo è predisposto al dialogo: tra la cultura antica e contemporanea, tra la Sicilia e il mondo».

TESORI SICILIANI. «Molte delle opere esposte in questa mostra – ha spiegato ancora Sgarbi – provengono da fondazioni, come quella del Banco di Sicilia, e da collezioni private, ma trovare dei veri tesori è possibile anche in spazi conosciuti. Qui a Castello Ursino abbiamo rinvenuto alcune opere che sono entrate nella mostra con una nuova valutazione critica». È il caso di un dipinto del pittore marchigiano Antonio Amorosi e di una tavola attribuita all’artista seicentesco Francesco Cairo. «Durante questi giorni a Catania ho avuto modo di trovare moltissime opere interessanti, alcune delle quali sono confluite nella mostra. Del resto, la caccia ai quadri non ha regole né approdi, è imprevedibile. Non si trova quello che si cerca, si cerca quello che si trova. Talvolta molto oltre il desiderio e le aspettative». Sulla presenza di opere provenienti da musei dell’isola, Sgarbi invece sottolinea come spesso le difficoltà siano di natura logistica ed economica. «Avremmo voluto portare l’”Ignoto Marinaio” di Antonello da Messina, che si trova al museo Mandralisca di Cefalù, ma il sindaco della città non è riuscito a far scendere la quota d’affitto dell’opera sotto i 50.000 euro. In generale, però, è bene ricordare come nei musei sia presente un’ingente quantità di opere nascoste che aspettano solo di essere scoperte. L’italia è ricca non solo di passato ma di un futuro che è dentro quel passato: la Sicilia, in questo senso ci dà molte ragioni di speranza e i beni culturali potranno essere il primo punto di rinascita».

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