«La satira è un’espressione che è nata in conseguenza di pressioni, di dolore, di prevaricazione, cioè è un momento di rifiuto di certe regole, di certi atteggiamenti: liberatorio in quanto distrugge la possibilità di certi canoni che intruppano la gente». A pronunciare questa significativa apologia del genere satirico è stato il premio Nobel Dario Fo, che, non a caso, sul potere della risata ha costruito la sua fama e le sue fortune. Capovolgere i punti di vista, d’altra parte, può rivelarsi spesso salutare: la sovversione, il carnascialesco, portano intrinsecamente in dote una sana dose di autenticità. Talvolta, insomma, per guardare con chirurgica precisione alla realtà e alle sue contraddizioni irrisolute, serve appostarsi su un cantuccio scomodo, adottare una panoramica obliqua e laterale, essere disposti perfino a stare a testa in giù. In Sicilia, l’indubbio ed eclettico maestro della letteratura paradossale è stato il palermitano Vanni Pucci, esponente di spicco a cavallo tra ‘800 e ‘900 non soltanto della produzione vernacolare in versi della nostra isola, ma anche del teatro e delle arti figurative, della letteratura per l’infanzia e della poesia amorosa. A lui, ancora oggi, si devono alcuni dei più esilaranti e pungenti sonetti della nostra lirica.

Conosciuto ed apprezzato da Giovanni Verga già nel 1903, sulla scia della sua raccolta Amuri dissi, ben presto attirò le attenzioni del grande pubblico per la sua peculiare capacità di mescolare parole e immagini, poesia e arte visiva. Prova di questo talento poliedrico è il volume Favole, pubblicato nel 1948 dal figlio Egidio allo scopo di raccogliere le prove più significative. In maniera finemente riconducibile alla sensibilità di autori come Orwell, Fedro e Trilussa, protagonisti di questi sonetti sono animali dal comportamento tipicamente umano, emblemi caricaturali dei vizi e delle ipocrisie della società del tempo. In cui, tuttavia, il lettore contemporaneo non fatica a trovare un po’ di sé stesso e delle proprie disavventure. Chi, ad esempio, non si è mai lamentato dell’inconcludenza di un’indagine, o del suo esito tutt’altro che equo? È ciò che accade in L’inchiesta, in cui sua Maestà il Leone si lamenta perché qualcuno ha pestato l’insalata che aveva coltivato con tanta cura, senza sapere che il responsabile è Sua Eccellenza l’Elefante. Le ricerche, alla fine, dopo aver interpellato diverse specie, e nonostante l’evidenza di un’orma inequivocabile, finiscono per condannare il povero maiale. E che dire di quei personaggi insopportabili che si arrogano il diritto di elevarsi sopra un piedistallo senza averne titolo? Anche a loro l’infallibile Pucci ha dedicato dei versi in Prisunzioni, nel quale un vecchio e saggio maiale richiama un giovane ed esuberante porcellino a non vantarsi di essere appartenere ad una specie d’altro rango senza prima essersi rimboccato le maniche per dimostrarlo. E che dire, per concludere questa breve carrellata, di chi si erge a censore delle abitudini altrui pur non essendo esattamente un esempio di specchiata moralità? È il caso della scrofa del sonetto Scannali, che richiama acremente due colombi, intenti a scambiarsi le tenere effusioni del loro primo incontro, affinché assumano comportamenti meno, a suo dire, osceni. Un gioco letterario di nobile tradizione, certo: ma anche una riflessione profonda e accorata sui curiosi meccanismi che reggono le nostre interazioni sociali. Interazioni che Pucci, da grande artista, osservò e sezionò magistralmente, cristallizzandole per sempre nella loro ilare amarezza.

Sebbene sia spesso stata relegata al ruolo di intrattenimento secondario (anche se alcune delle liriche di Pucci vennero incluse in diverse antologie scolastiche), la satira è dunque uno specchio che, più di ogni altro, ci restituisce un riflesso fedele di ciò che siamo e che non vorremmo essere, uno sprone a migliorare e ad evolversi contro la tentazione dell’immobilismo, una confessione di bonaria inadeguatezza che pungola le nostre coscienze. «Io non me ne andrò da qui se prima non ti avrò detta una gran verità» diceva il Grillo Parlante a Pinocchio, prima di metterlo in guardia dal pensiero di vivere senza regole. E Vanni Pucci, per la Sicilia, è stato proprio un Grillo d’eccezione.

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