Pubblico internazionale e applausi per una produzione ospitata al “Metropolitan” che convince senza entusiasmare

Sulle note di Tchaikowsky il sipario, ancora chiuso, invita gli spettatori a prendere posto e a fare silenzio prima che le sue tende si aprano su un salone regale in festa per il compleanno del principe Siegfried. Inizia così “Il lago dei cigni” del Balletto di San Pietroburgo, compagnia russa privata esibitasi al teatro Metropolitan di Catania il 24 gennaio.

È in corso il primo atto e subito si distingue tra tutti il giullare, figura centrale all’interno delle antiche corti. Non solo tecnica notevole, con salti alti e leggeri e giri rapidi e curati, ma anche spirito e allegria. Un po’ meno coinvolgente, forse, l’espressività del principe, in particolare nel secondo atto, ambientato sulle sponde del lago in cui uno stormo di cigni svolazza leggero e la loro regina, Odette, con la sua bellezza colpisce Siegfried. Il corpo di ballo è ammirevole: gambe snelle e alte, punte ben tese e piedi arcuati. Il favoloso passo a due del cigno bianco e del principe tuttavia potrebbe trasmettere maggiore intensità, per quanto si noti l’attenta cura dei passi tra una pirouette e l’altra. Un plauso ai celebri quattro cignetti, che con la loro coordinazione hanno riscosso successo.

 Si giunge così al terzo atto, caratterizzato dalla presenza del malvagio Rothbart e della figlia Odile, ossia il cigno nero. Presentatasi alla corte sotto le sembianze di Odette, è lei che riceve la proposta di matrimonio di Siegfried, il quale tratto in inganno manda in frantumi il cuore del cigno bianco. La ballerina che interpreta sia Odette sia Odile stupisce il pubblico con una sequenza di 32 fouettés, cioè giri che fanno perno su una sola gamba. Rothbart, il crudele uccello nero, risulta invece poco pauroso e la sua lotta col principe potrebbe trasmettere maggiore tensione.

Un balletto di repertorio non è fatto solo di danza e coreografia, a proposito della quale bisogna sottolineare che è stata ben rispettata quella storica di Marius Petipa (1875, ripresa qui da Tatiana Predeina), ma anche di costumi e scenografie. Gli abiti di scena di Kulichenko Valeri, non particolarmente sfarzosi, lasciavano ben vedere le linee sinuose dei ballerini, mentre le scene di Gurenko Evgenii, costituite da grandi pannelli dipinti che raffiguravano o il salone regale o le sponde del lago, hanno reso l’atmosfera, seppur con i limiti degli ingombri su un palcoscenico non enorme come quello del Metropolitan.

Applausi da una platea eterogenea, tra cui spiccava una forte componente straniera, specialmente russa.

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