Una vita di fatica in attesa di una nuova alba: Guttuso e i siciliani come pescatori
Dicono che siano i momenti più bui la migliore cartina di tornasole per giudicare il carattere di un individuo o di un popolo. Che esista una strettissima correlazione tra l’asfissiante sensazione della costrizione e il progressivo detonare della volontà di sottrarvisi. Che, insomma, tanto più dura è l’ascesa da affrontare, quanto più energico, determinato e orgoglioso sarà lo sforzo profuso per scalarla. Resilienza, verrebbe da dire. Un termine oggi fin troppo abusato e frainteso, che, per giunta, non si dimostra perfettamente adatto a riassumere storie complesse come quella siciliana, che su ristrettezze e tragedie ha forgiato la sua unicità. Quando si pensa alle secolari vicende di cui si sono resi protagonisti gli isolani, d’altra parte, non può non essere considerato come, a più riprese, la “passiva” capacità di assorbire gli urti di eventi imprevisti e di grande portata si sia tramutata in qualcosa di più alto, di più nobile, di più intimo: in una convivenza sul filo del rasoio con la prospettiva del baratro, in un potere di librarsi sulle ombre minacciose del cuore per estrarre dalla rovina un rinnovato barlume di meraviglia. Somiglia, la vita del siciliano, a quella del pescatore, che solca i mari con perizia e ardimento, rispettando e temendo le loro leggi. Fu Renato Guttuso ad istituire questo suggestivo parallelismo, che trae linfa dalla peculiare parabola esistenziale dei naviganti, vagabondi per eccellenza, soggetti a calamità e intemperie soverchianti, eppure mai domi nel tentare di tracciare una rotta verso casa. Un messaggio di forza e di speranza che, nei giorni in cui la Sicilia fa la conta dei danni fisici e morali da maltempo, può assumere un senso ancora più profondo.
Splendido simbolo di ciò è il quadro Barche in tempesta, uno dei più noti e rilevanti della serie che il pittore di Bagheria dedicò proprio ai pescatori isolani. Tra scogli acuminati neri come la pece e terribili onde magistralmente incarnate da brusche e trasversali pennellate blu cobalto, le fragili imbarcazioni dei protagonisti ondeggiano pericolosamente alla mercé della distesa marina. Né remi né ancora né àncora appaiono sufficienti a fronteggiare la furia di un mare che non fa prigionieri. Solo uno dei pescatori, protendendo le braccia in maniera tremolante e accorata, intravede un appiglio a cui affidare le proprie, precarie preghiere. Eppure, mentre tutto appare irrimediabilmente perduto, mentre quella effimera ma confortante stabilità sembra cedere definitivamente il passo, uno squarcio di sereno irrompe in lontananza, facendosi largo con la sua tenue tonalità di ocra. È l’infinita dinamica del vivere pescando, quella a cui Guttuso conferisce l’immortale dignità poetica: nascere ogni notte aspettando il chiarore dell’alba, aspettare un segno quasi ultraterreno di benevolenza, confidare nell’abbondanza e nel ritorno a casa. C’è un che di nostalgico ed ancestrale in questo vivido andirivieni, che, come ben intuì lo stesso Guttuso, rende i pescatori una categoria universale per ogni esperienza umana, prototipo esemplare delle fatiche della vita che si susseguono lasciando marchi indelebili ma anche una malinconica ricchezza. Così il popolo siciliano, memore delle sue traversie, si affanna nel cercare risposta ai drammi, ma al tempo stesso ne cavalca le conseguenze, consapevole e fiducioso che una luce in lontananza verrà a soccorrerlo.
E proprio da qui Guttuso trasse la sua ispirazione: «È una terra drammatica la Sicilia. È drammatica fisicamente, è drammatica la sua natura e sono drammatici i suoi personaggi. I siciliani sono tendenzialmente drammatici, e naturalmente non si può restare insensibili a queste cose». Ma la drammaticità può essere una virtù: solo chi sa cosa significa cadere spesso è disposto a fare il necessario per rialzarsi. Solo chi ha conosciuto un sentimento di impotenza dinanzi alla natura e alle sue bizze, chi si è adattato al suo capriccioso mutare, può guardare al futuro forte della sua sopravvivenza passata. Perché, esattamente come un pescatore che continua imperterrito a gettare le reti anche dopo una magra pesca sapendo che da quel gesto dipende la propria vita, solo chi non demorde nel suo proposito di farcela supererà ogni genere di tempesta.