Si tratta di una data storica per la Sicilia, una ricorrenza rimasta negli annali e che risale ormai a 47 anni fa: era infatti il 21 maggio 1976 quando il Giro d’Italia partiva per la prima volta dalla città di Catania, pronto poi a proseguire in ben ventidue tappe fino al 12 giugno successivo, per un percorso totale che superava i 4mila chilometri. Cifre importanti già per l’epoca, accompagnate da quelle della vittoria di Felice Gimondi che venne raggiunta in 119 ore, 58 minuti e 15 secondi.

Ph. ilciclismo.it

DALLA FESTA ALL’INCIDENTE. Fin dai primi minuti, la giornata inaugurale della manifestazione venne trasmessa in diretta televisiva e radiofonica, potendo contare su una grande partecipazione generale. Per Catania si trattava infatti di una giornata di festa e di adrenalina, di orgoglio locale e di interesse nazionale, che portò migliaia di persone ad aspettare il passaggio dei corridori ai lati della strada. Non a caso, il giorno dopo, il quotidiano La Sicilia avrebbe parlato di un «entusiasmo travolgente, lo spettacolo di folla davvero imponente. Brulicante la via Etnea, un vero muro umano…». Qualche rigo dopo, però, si sottolineava anche che «un velo di tristezza calava sul Giro»: quell’anno la Corsa Rosa si era tinta infatti di rosso proprio nella prima semitappa della Catania-Siracusa, ad Aci Sant’Antonio. Perché, a soli 31 anni, lo spagnolo Juan Manuel Santisteban Lapeire aveva concluso la sua carriera con un incidente fatale.

I DETTAGLI DELLA CRONACA NERA. Poco prima di arrivare nel Comune di Acireale, si attraversa un tratto di strada in discesa in cui non è raro che i professionisti tocchino i 90 km/h. Un momento durante il quale basta poco per perdere il controllo del proprio mezzo: del brecciolino sull’asfalto, un errore di distrazione, una borraccia a terra, qualunque di queste potrebbe essere stata la fatalità che causò il volo di Santisteban. Era un periodo in cui l’uso del casco non veniva ancora previsto, e la mancanza di questa protezione si rivelò mortale per il giovane, che sbandò in una curva non troppo ardua e sbatté la testa contro il guardrail. I giornali indugiarono parecchio sui dettagli più cruenti, secondo lo stile cronachistico nero dell’epoca: «La testa spaccata quasi in due, la materia cerebrale sparsa dappertutto, in un lago di sangue», leggiamo ancora una volta sul numero de La Sicilia del 22/05/1976. I medici di turno non poterono che coprire il corpo, ma non abbastanza in fretta da evitare che qualcuno scattasse una foto destinata a fare il giro del mondo.

IL SOSTEGNO PSICOLOGICO. Presi dalla frenesia e dalla foga della corsa, i compagni di squadra di Santisteban continuarono a correre, lì per lì inconsapevoli di quanto tragico fosse stato il suo incidente. Solo a conclusione della semi-tappa, prima della ripartenza per Siracusa, i corridori vennero a sapere dell’accaduto. Arrivarono così le prime remore, titubanze, esitazioni: nessuno degli spagnoli era pronto a riprendere la gara, soprattutto poi Gonzales Linares, per attendere il quale Santisteban aveva rallentato in curva. Il loro stato d’animo si spiega ancora meglio se teniamo conto del fatto che il gruppo dei ciclisti spagnoli (denominato Kas) era uno dei più affiatati a livello globale, al punto che in occasione del Giro aveva portato con sé uno psichiatra di nome Lorenzo Munguria, che potesse alimentare l’armonia della squadra. Dopo l’incidente, a maggior ragione, la sua presenza si rivelò cruciale per aiutare gli atleti a ritrovare un coraggio e una determinazione che sembravano perduti.

Pippo Baudo ebbe l’idea di donare alla famiglia Santisteban metà degli incassi dello spettacolo che faceva da cornice alla Corsa Rosa, proprio come venne poi fatto con lo stesso premio in denaro di quell’edizione del Giro

LA SOLIDARIETÀ COLLETTIVA. Ma a offrire soccorso al Kas non fu solo il sostegno professionale e umano di Munguria: a spronare i ciclisti a rimettersi a pedalare fu anche un grande movimento di solidarietà generale, che coinvolse tanto la popolazione siciliana quanto il mondo dello spettacolo. Lo stesso Pippo Baudo, conduttore a sua volta di origini catanesi e già allora molto apprezzato nel panorama televisivo italiano, ebbe l’idea di donare alla famiglia Santisteban metà degli incassi dello spettacolo che faceva da cornice alla Corsa Rosa. Questo incoraggiò il Kas a rimettersi in gioco e a proseguire la propria sfida personale verso il traguardo, gareggiando in onore del compagno scomparso e provando un moto di commozione e di gratitudine quando, a fine gara, il premio in denaro di quella fatidica edizione del Giro fu devoluto alla moglie e alle figlie di Santisteban, che avrebbe lasciato un ricordo indelebile fra gli appassionati di ciclismo e fra gli abitanti del capoluogo etneo.

Ph. Orazio Esposito | Flickr

IL MONUMENTO A SANTISTEBAN. Non tutti sanno, d’altronde, che proprio nel tratto della via Nuova che gli fu fatale è presente una stele lavica dedicata al ciclista spagnolo, di cui lo scorso anno è stato avviato un progetto di riqualificazione. Ripulendo l’area che la circonda e creando un piccolo punto di ristoro, con un parcheggio per le bici, una fontanella e una panchina, l’obiettivo voluto tanto dall’amministrazione locale quanto da diversi giornalisti sportivi del territorio è quello di tenere viva la memoria di Santisteban e di contribuire «alla propaganda per la sicurezza nel mondo del ciclismo», come ha sottolineato nel maggio 2022 il sindaco Santo Caruso. «Era un impegno importante quello preso per la riqualificazione del monumento – ha aggiunto – […] e da parte mia e dell’Ente va l’abbraccio alla famiglia e agli amici di Santisteban, e a tutti gli amanti del ciclismo che portano in giro la memoria del campione scomparso ad Aci Sant’Antonio».

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