Ci sono solo sei scalini che separano una delle hall di Isola Catania, impact community hub dove nei giorni scorsi si è svolto l’appuntamento stagionale con Make in South, e lo studio visit creato per tre artisti siciliani che proprio in quei giorni hanno trasferito il proprio ambiente di lavoro condividendolo con i colleghi. L’idea è di Claudia Cosentino, architetta e cultural manager di Isola. «Isola – spiega – non è uno spazio espositivo, non è un museo e neanche una galleria. Abbiamo deciso di aprirci all’arte contemporanea invitando tre artisti siciliani ad allestire uno studio visit condiviso in cui portare prodotti, elaborati, progetti e ricerche per farli conoscere a galleristi, curatori, giornalisti e personalità del mondo dell’arte». Rispettando, come detto, la filosofia di Isola, che nasce come spazio di lavoro che vuole innescare il confronto e il dialogo e attivare nuove progettualità. «Lo studio visit è culminato in Fatal Attraction, momento di confronto che si è posto come obiettivo quello di mettere in connessione i protagonisti del mondo dell’arte».

Ph. Giorgio Di Gregorio

Tre artisti siciliani, tutti d’accordo sul fatto che l’arte contemporanea, ancora troppo spesso, risulta di difficile comprensione e “digestione” al pubblico. La prima stanza che si incontra è quella di Barbara Cammarata. Originaria di Caltanissetta, formazione british, da 10 anni è tornata in Sicilia, dove inizia il suo lavoro più importante, che ha origine da un corredo donatole da sua mamma. «Mi sono interrogata – ci dice – sul valore che quell’oggetto avesse per lei e su quello che avesse per me. La ricerca mi ha portato alla scoperta della tradizione di ricamo più antica di Sicilia e ad attribuire un valore sociopolitico all’arte del ricamo. Mi interessava non tanto l’opera fine a sé stessa – aggiunge – ma il processo. E così ho deciso di aprire lo studio a chiunque avesse voglia di partecipare alla costruzione di un lavoro comunitario. La risposta è stata che, anche solo per il desiderio di poter parlare e condividere, hanno varcato quella soglia migliaia di persone. Chi stava solo dieci minuti, chi lo ha trasformato in un appuntamento fisso». L’intenzione, per Cammarata, è quella di essere attivatori di alcuni processi e riflessioni. «La categoria è in grande difficoltà, soprattutto dal punto di vista della comunicazione, che non si risolve con Instagram o con un articolo. Tra le problematiche ci sono anche l’isolamento e la difficoltà di raggiungere alcuni luoghi, ma bussare alle porte – come qualcuno mi ha suggerito – non è sempre la soluzione. Ho cercato tanti galleristi, ma alla fine è il gallerista che è venuto da me. Dieci anni a Londra non sono bastati per cambiare mentalità, forse questo incontro è un punto di inizio».

Ph. Giorgio Di Gregorio

Nella stanza di mezzo c’è Sasha Vinci, che con le sue piume e le sue foglieracconta il cielo e la terra. Performance, disegno, scultura le sue parole d’ordine, così come la musica, che è ormai entrata nel suo lavoro. «Dovremmo parlare non di multiculturalismo, ma di multi naturalismo. Ripartire dalle persone, andare a fondo nelle cose, utilizzare materiali di riuso mi dà energia. Questa esperienza è stata uno scambio continuo e torno a casa arricchito. Ho scelto di vivere a Scicli – sottolinea – perché nonostante mi muovo molto per ricerca, è grazie a questa terra che ho potuto realizzare alcuni dei progetti a cui tengo particolarmente». Il sistema dell’arte, secondo Vinci, andrebbe smontato e rimontato. «Ripartirei dalle scuole, dai più giovani, con programmi di arte e politica contemporanea. L’istituzione non c’è, non ci supporta. Dobbiamo metterci in discussione ed è proprio quello che abbiamo fatto in questi giorni: chiederci come possiamo iniziare realmente a innestare un discorso che sia concreto? Cosa possiamo fare insieme?».

Ph. Giorgio Di Gregorio

La stanza di Michele Spadaro affaccia su piazza Alcalà. Dalle finestre si vedono le cupole di Catania, avvolte nella luce rosse delle tende. Qui Michele ci accompagna in una passeggiata sonora dal reale al metafisico. «I suoni li ho registrati sull’Etna in un mese di lavoro – spiega –. Il rumore del bosco, i passi, le stalattiti, la sabbia, le grotte, la presenza umana. Ma anche la roccia, il magma, le colate laviche. È un racconto con un climax ascendente che porta al centro del vulcano, generando per la maggior parte una reazione di spavento, per alcuni di entusiasmo». L’arte contemporanea basata sul suono è una nicchia nella nicchia e non sempre risulta commestibile a primo acchito. «Ciò non significa che alla gente non piace, ma non è abituata e non ha una particolare sensibilità nei confronti dei suoni. È un tipo di arte che sicuramente ha un respiro più europeo e che grazie a realtà come Isola riusciamo ad avvicinare alla nostra terra», dice Spadaro, per cui è fondamentale parlare di formazione artistica. «In Inghilterra, dove ho studiato, inizia fin dall’infanzia. Già da piccoli viene trasmesso il piacere di fruire di arte, musica e mondo culturale. Da quello che ho visto, ho respirato, credo serva attivare sinergie. Non solo parlando, ma riuscendo a bilanciare l’equazione. Trovando un compromesso con la realtà dei fatti».

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