Addio Milva,
una delle “muse”
di Franco Battiato

«Arrivai a Catania e vidi la terra così nera. Mano a mano addentrandomi verso la villa di Franco Battiato era sempre più nera. C’è l’Etna, certo, la polvere di lava è dovunque, però al momento non collegai, rimasi sconcertata. A un certo punto pensai che doveva essere nera persino l’acqua della piscina». Così Milva, la grande interprete della canzone italiana scomparsa ieri all’età di 81 anni, ricordava il suo primo incontro con Catania. Era attesa a Milo, nello studio di Franco Battiato. C’erano anche i collaboratori del Maestro: Giusto Pio e Juri Camisasca. Nacque, infatti, sulle falde del vulcano Milva e dintorni nel 1982, che conteneva Alexander Platz con cui si esibì davanti alla Porta di Brandeburgo nel 1990 poco dopo la caduta del Muro di Berlino.

La terra nera della Sicilia sarebbe poi divenuta una normalità per Milva. Sette anni dopo tornò per realizzare il disco Svegliando l’amante che dorme. E nel 2010 avrebbe richiamato Battiato al suo fianco per l’addio alle scene con Non conosco nessun Patrizio. Album tutti sollecitati dalla “rossa” «per le doti di grande forza e sensibilità di Franco».

Sentimento ricambiato dal siciliano. «Quando ho lavorato con Milva, con Alice e Giuni Russo, io mi sono limitato a fare il sarto: prendevo le misure», scherzava Battiato parlando delle donne con le quali aveva collaborato. «Milva era il teatro, già nei capelli, come li muoveva… era un piacere lavorarci».

Franco Battiato e Milva

Artista eclettica, ha concorso quindici volte a Sanremo senza mai vincerlo, l’ultima con una bellissima canzone, The show must go on nel 2007, ma ha anche cantato Brecht con Strehler al Piccolo Teatro dove è stata la mitica Jenny dei Pirati nell’Opera da tre soldi del ‘73, ha cantato La filanda e Alexander Platz, Milord e i Canti della Libertà, e poi Berio, Morricone, Battiato, Theodorakis… La sua voce è stata una delle più famose e diffuse all’estero: 173 album, 33 dei quali solo in Germania, e poi in Francia, Giappone, Grecia, Spagna, Corea del Sud, Sudamerica.

È salita sul palco dell’Ariston con lo stesso piacere e la stessa disinvoltura con cui si è esibita al Théâtre du Châtelet, nelle balere popolari dell’Emilia e alle Bouffes du Nord di Peter Brook oltre che al Piccolo e alla Scala. E, una sera gli inizi degli anni Novanta, si poteva incontrare Milva, la “divina”, sul palco di un night club come il Tout Va di Taormina. «Penso che persone come Berio e Strehler mi abbiano aperto nuove strade, nuovi orizzonti», mi disse poco prima di andare in scena sorseggiando una coppa di champagne. «Poi, sono curiosa, voglio provare tutto. Per questi motivi può capitare di decidere di partecipare al Festival di Sanremo e poi di essere in cartellone all’Accademia di Santa Cecilia o alla Scala di Milano».

Milva e Alda Merini

Milva era “La Rossa”, titolo di una famosa canzone scritta per lei da Enzo Jannacci, e non solo per il colore dei suoi capelli, ma anche per quella fede politica che più volte aveva rivendicato. Nata come cantante di balera, Milva, pseudonimo di Maria Ilva Biolcati, negli anni Sessanta contese lo scettro di regina della canzone italiana a Mina e Ornella Vanoni. Lei era la “pantera di Goro”, Mina la “tigre di Cremona”. Nessuna delle due però aveva le caratteristiche di un felino. Mina fuggì dalla bagarre rintanandosi nel suo esilio dorato in Svizzera, Milva seminò paparazzi e curiosi intraprendendo un percorso più “colto” e serioso in teatro e nella ricerca d’avanguardia, prestando la sua voce, le sue doti interpretative, il suo temperamento straordinario a registi e autori, dai citati Strehler e Berio ad Astor Piazzolla, Theodorakis, Vangelis. Senza dimenticare la musica leggera. A lei affidarono canzoni Biagio Antonacci e Ron, rispettivamente Uomini addosso e Sono felice, che sono un grido contro la violenza contro le donne.

La Francia le conferì una onorificenza, i tedeschi la adoravano, fino a osannarla come la maggior interprete vivente del repertorio di Brecht-Weill, l’Italia invece sembrava averla dimenticata, complice anche la malattia che la costrinse ad abbandonare il palcoscenico. Ci volle un appello lanciato nel 2018 da Cristiano Malgioglio all’allora direttore artistico e conduttore del Festival di Sanremo, Claudio Baglioni, perché le venisse finalmente assegnato un premio alla carriera. Nel ringraziamento letto dalla figlia Martina sul palco dell’Ariston, Milva si rivolse ai giovani: «La musica spazza via la polvere dalla vita e dall’anima degli uomini. Ma perché questo accada bisogna studiare e attingere dal passato». È stato il suo manifesto artistico.

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Laureato in Lettere moderne. Giornalista professionista. Ha collaborato con Ciao2001, Musica Jazz, Ultimo Buscadero, Il Diario di Siracusa. È stato direttore del bimestrale Raro! e caposervizio agli spettacoli al quotidiano "La Sicilia". Nel 2018 ha curato il libro "Perché Sanremo è (anche) Sicilia”. Nel 2020 ha scritto “Alfio Antico. Il dio tamburo” pubblicato da Arcana.

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