Venerdì scorso si è tenuto il concerto sinfonico diretto dal Maestro Eckehard Stier. Una locandina impaginata per ripercorrere le atmosfere dell’Europa dell’Est
Pensare per agire in nome del cambiamento. Un modus operandi che non smette mai di essere attuale, ieri come oggi. Quello presentato nei giorni 20 e 21 aprile 2018 al Teatro Massimo Bellini di Catania è stato un climax ascendente con le tonalità re maggiore/minore quali protagoniste assolute dell’esecuzione. Un viaggio musicale condotto dal direttore Eckehard Stier e dall’Orchestra del Teatro Massimo Bellini che hanno accompagnato lo spettatore lungo le atmosfere dell’illuminismo con le prime due sinfonie in re maggiore, per poi terminare con «L’anno 1917», dedica alla memoria di Lenin e alla rivoluzione bolscevica, in re minore. Non è casuale che la Sinfonia n. 1 di Prokof’ev sia stata eseguita dopo quella garbata di Haydn: il compositore ucraino rielabora e fa proprio il tipico stile leggiadro della musica del XVIII secolo. Più incisiva, invece, è la Sinfonia n. 12 di Šostakovič, foriera di quei moti rivoluzionari che hanno cambiato il volto della storia contemporanea.
RAGIONE E SENTIMENTO. Tema portante del trittico sinfonico è l’illuminazione della rivolta che scaccia l’oscurantismo ignorante e retrogrado; dato che l’intento è stato quello di collegare dal punto di vista intellettuale, sociale e culturale il progressismo illuminista con la rivoluzione russa, qualsiasi attinenza con il romanticismo è stata bandita. Scelta storicamente azzardata seppur concettualmente interessante per un pubblico che, purtroppo, denotava scarsa affluenza giovanile: la lotta contro gli oppressori non può prevalere se non supportata dalla riflessione razionale. È quindi giusto parlare di rifiuto totale del sentimento? A ben vedere (ma soprattutto ascoltare), si direbbe di no. La ragione non è nemica delle emozioni, bensì del loro lato più pericoloso poiché senza emozione non sarebbe possibile comporre musica né tantomeno condurre una rivoluzione. La giusta commistione di entrambi consente di comprendere la scelta di eseguire questa trilogia e, perché no, i moti interiori di coloro i quali rifiutavano l’assoggettamento del conservatorismo più pericoloso. Perché la musica, in fondo, altro non rappresenta che la medaglia sulle cui facce sono rappresentati questi due poli.
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