Altro che tramonti rossi, gli astronauti su Marte dovranno vivere sotto terra
Le missioni umane su Marte sono proprio dietro l’angolo? Sembrerebbe di sì, dato che ormai si discute dei dettagli di queste missioni, più che della opportunità o della possibilità di realizzarle. Nell’arco dei prossimi dieci anni, un tempo estremamente ridotto per la complessità del problema, sia la NASA che la Cina hanno infatti in programma delle missioni umane, per gli anni 2033, 2035, 2037, sfruttando intervalli di 26 mesi corrispondenti alle minime distanze tra la Terra e Marte. La durata del viaggio di andata e ritorno, nonché un certo tempo di permanenza su Marte, implicherebbe un periodo complessivo di almeno due anni, in cui gli astronauti starebbero lontani dal pianeta Terra.
Certamente, gli aspetti familiari e sociali di una lunga permanenza lontano da casa non sono da sottovalutare, e, tuttavia, non sono questi a rappresentare il problema maggiore in una missione del genere. In fondo, se pensiamo all’esperienza di molti emigrati siciliani, nel secondo dopoguerra, in Paesi lontani, molti uomini rimanevano lontani dalle loro famiglie spesso per anni. Il costo di un viaggio dall’America Latina era spesso proibitivo, e andava a scapito dei risparmi che faticosamente gli emigrati mettevano da parte per sostenere il resto della famiglia che rimaneva nel paese di origine. Pensiamo anche alla difficoltà di comunicazione, in genere basata sul supporto cartaceo delle lettere, non certamente su quello del telefono, anch’esso troppo costoso e da riservare alle occasioni speciali. Oggi la sensazione di lontananza nel nostro pianeta è certamente mitigata dalle distanze percorribili in poche ore di volo, dai costi relativamente ridotti degli spostamenti, dalle possibilità di comunicazione, anche di gruppo, sia audio che video. Tutto ciò però non elimina il bisogno innato dell’uomo di vivere una compagnia fisica con gli altri esseri umani – tranne (sperabilmente rarissime) eccezioni – in particolar modo la compagnia degli affetti familiari. Per questo ha suscitato interesse, o commozione, la foto dell’astronauta (donna) che saluta i figli prima di partire per una missione di parecchi mesi sulla Stazione Spaziale Internazionale, anche se, come è stato notato correttamente da molti, lo stesso interesse, o commozione, dovrebbe suscitare anche un astronauta (uomo) che compie lo stesso gesto.
Se ci siamo ormai abituati, come comunità umana, alla possibilità di permanenze nello spazio di sei mesi, ancora non lo siamo nei confronti di permanenze più lunghe. Il motivo, tuttavia, non è, o non è solamente, di natura affettiva o psicologica. La permanenza nello spazio implica una esposizione alle radiazioni di origine cosmica alla quale gli abitanti terrestri sono soggetti solo in minima parte. L’atmosfera terrestre ci protegge con il suo soffice manto, e il campo magnetico esistente intorno ad essa ci protegge con le sue linee di forza, deflettendo molte delle particelle potenzialmente pericolose e facendo sì che la dose di radiazione annua assorbita stando sulla Terra sia trascurabile, minore di quella a cui siamo soggetti facendo qualche radiografia.
Al contrario, al di fuori dell’atmosfera, e a grande distanza dal campo magnetico terrestre, siamo totalmente esposti ad un flusso di radiazioni che non possiamo sopportare a lungo senza subirne conseguenze gravi. Questo è il fattore che limita ad esempio la durata massima delle permanenze nella Stazione Spaziale a circa sei mesi. Cosa fare allora per un viaggio verso Marte, e con la necessaria lunga permanenza su quel pianeta prima di rientrare (con un altrettanto lungo viaggio)? Pianeti come Marte, o la stessa Luna, sono privi o quasi di atmosfera e anche di campo magnetico. Non riescono dunque a garantire la stessa protezione che un essere vivente avrebbe sulla Terra, con la necessità conseguente di trovare soluzioni alternative. Soluzioni alle quali i team coinvolti in queste missioni pensano da tempo, non solo per il viaggio in sé ma anche per le modalità dettagliate della permanenza.
Un recente studio* ha valutato ad esempio in modo quantitativo, mediante tecniche di simulazione ben note nel campo della fisica nucleare, quali sono i luoghi privilegiati sul pianeta Marte che minimizzano la dose di radiazione, tenendo conto del fatto che l’atmosfera marziana, per quanto labile, non ha lo stesso spessore in tutti i luoghi del pianeta. Ma soprattutto, ha valutato sotto quale spessore minimo di roccia gli astronauti dovranno vivere, se si eccettuano quelle brevi escursioni esplorative da condurre in superficie. Il risultato è che questo spessore dovrà essere almeno di un metro nelle zone più favorevoli, se si vuole mantenere la dose di radiazione assorbita entro limiti ragionevoli, ma potrebbe essere quasi il doppio in altre zone marziane, a seconda della pressione atmosferica e di altri parametri.
Come vivere al di sotto di uno o due metri di roccia? Queste dimore dovranno essere garantite trovando ambienti opportuni (condotti, caverne,..) già esistenti nella struttura geologica, oppure realizzando, in base al materiale esistente sul posto, e a macchinari appositi, dei vani sotterranei adatti. Studi dettagliati del come procedere per risolvere questi problemi sono peraltro in corso da alcuni anni. Una vita da cavernicoli, ma con un certo livello di comfort all’interno, potrebbe aspettare dunque gli astronauti che dovessero passare dei mesi in questi luoghi. Si tratta solo di scegliere dove fissare la propria residenza (provvisoria) sul Pianeta Rosso. Che ci siano agenzie immobiliari anche lì a proporre una zona residenziale adeguata?
* Jian Zhang et al, From the Top of Martian Olympus to Deep Craters and Beneath: Mars Radiation Environment Under Different Atmospheric and Regolith Depths, Journal of Geophysical Research: Planets 127(2022)e2021JE007157, https://doi. org/10.1029/2021JE007157