«L’ombelico del mondo» secondo Gesualdo Bufalino è la porta che hanno attraversato tutti: la Sicilia, una chiave per capire i tempi, gli spazi e la natura umana. Questa terra mitica, crogiuolo delle culture e delle lingue, è al centro di Anna, romanzo di Niccolò Ammaniti pubblicato nel 2015. Lo scrittore romano, attraverso le avventure in una Sicilia post-apocalittica della sua giovane protagonista, dipinge infatti il ritratto un’isola denso di suggestioni che fanno da sfondo alla domanda: cosa vuol dire essere siciliani?

Ci troviamo nell’anno 2020, in un mondo segnato irreversibilmente da una malattia mortale chiamata La Rossa che, in quattro anni, ha ormai ucciso quasi tutta la popolazione umana, lasciando in vita solo i bambini al di sotto dei 15 anni, età alla quale si contrae il morbo. La vita quotidiana è stata stravolta: non c’è più elettricità, niente TV o internet, i cellulari non funzionano e la maggior parte dei sopravvissuti non sa né leggere né scrivere. La situazione sembra senza speranza ma la tredicenne protagonista, Anna, sa che la vita deve comunque continuare perché «tutti gli esseri di questo pianeta devono vivere. Quello è il nostro compito».

Anna, che vive a casa con lo scheletro pulito e decorato di sua madre, come i suoi coetanei delle ossa non ha paura. Un rapporto tipicamente siciliano, quello con la morte e con il passare del tempo, vissuto attraverso i resti e i ricordi delle persone una volta vive. Un sentire che si respira chiaramente nelle catacombe di Palermo, e che prende forma  nell’usanza dei crozzi ‘i mottu, i biscotti a forma di osso consumati durante il Giorno dei Morti.

Per salvarsi, la protagonista pensa di dover scappare dalla Sicilia poiché solo ed esclusivamente nel continente, secondo lei, potrebbe esistere un gruppo di medici sopravvissuti che potrebbero curarla. In questo modo inizia il suo viaggio verso lo Stretto, meta emblematica in quanto legata al problema dell’inesistente “ponte”. La fuga dall’isola porta Anna, il suo fratellino Astor e il cane Coccolone da Castellammare del Golfo verso Messina, lungo tutta la costa nord. Da secoli il motivo dell’isola–prigione è abbastanza frequente nella letteratura mondiale. Il suo significato, che prende le mosse dal termine “isolamento”, rimanda all’idea di reclusione, carcerazione, dell’essere tagliato fuori dal resto del mondo e trova la sua declinazione siciliana nella riflessione di Gesualdo Bufalino, che attribuì al concetto di isolitudine la specificità siciliana di saper sentire la fine del tempo e dello spazio.

Viaggiando sempre ad est, Anna e suo fratello incontrano altri bambini, la maggior parte dei quali impazziti al pensiero di partecipare alla Festa del Fuoco, ritenuta l’unico modo di salvarsi. Essi infatti credono che in Sicilia sia sopravvissuta una “Piciridduna”: una donna adulta e immune, che avrà il potere di salvare tutti. La Festa si svolge presso le fittizie Terme Elise vicino Alcamo/Castellammare del Golfo. Esse, tuttavia, non possono essere identificate come le Terme Segestane tutt’oggi visibili, a causa della vicinanza di un grande albergo, ma danno comunque una forte impressione di verosimiglianza.

In questo modo Ammaniti delinea il ritratto della Sicilia, tripartito in quelle macchie di colore della sicilianità da lui ritenute più importanti. In primo luogo, la coesistenza quotidiana della vita e della morte e la pluralità delle contraddizioni, raccontata un tempo da Leonardo Sciascia (Sicilia e sicilitudine), e risultante dalla mescolanza di razze, culture e costumi in un unico calderone. In secondo luogo, l’isolitudine, la dolorosa sensazione di essere soli, che dà origine ad un disperato bisogno di fuggire. E, infine, la propensione tipica dei siciliani a celebrare feste in onore di donne ritenute portatrici di doni salvifici, come nel romanzo ben testimonia l’episodio della Piciridduna.

Questi tre caratteri costituiscono la risposta alla paura della distruzione totale, della rottura del ciclo della vita, dell’impossibilità di realizzazione, del caos e persino della mancanza di qualsiasi logica, nonché della spaventosa verità sulla natura umana. In questo modo l’autore elabora anche una diagnosi su una realtà che stiamo imparando a conoscere: come ci comportiamo di fronte alla crisi? Che cosa ci definisce? Sembra che i siciliani, più di qualsiasi altro popolo, siano legati all’eternità delle cose e all’inevitabilità della morte ma, soprattutto, al piacere dell’essere vivi, per quanto in contraddizione con il resto. Perché, in fondo, Ammaniti suggerisce questo: che il loro compito è continuare a vivere ad ogni costo.

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