In alcuni paesi africani, i disturbi psichiatrici vengono attribuiti a spiriti maligni e chi ne è affetto viene torturato barbaramente. Da più di 30 anni il “Basaglia nero” opera in quei paesi per mettere fine a questa barbarie: ma l’emergenza Covid-19 ha messo in crisi il volontariato internazionale e l’affluenza di risorse

Il fischiettio del gelataio, il brontolio dei motori delle auto, le risate degli amici, l’avvolgersi delle saracinesche: mi ero quasi dimenticata della polifonia del mio trafficato quartiere che, silenziato dal lockdown, torna a riecheggiare alla finestra. Questi mesi hanno reso il nostro udito più sensibile alle strade di casa. Ma se ci avessero reso sordi ai rumori del mondo, quelli lontani, fuori dalla nostra città, dalla nostra regione, dalla nostra nazione?

Gelido, opprimente, metallico: è il rumore che rimbomba per i villaggi di Costa D’Avorio, Togo, Burkina Faso e Benin, quello delle catene di donne e uomini costretti a un tronco, nudi, al digiuno, se non percossi, perché qui i disturbi psichiatrici sono addebitati a spiriti maligni. «Quale crimine hanno compiuto per meritare questa sorte? Non è possibile che nel terzo millennio si parla di diritti dell’uomo, di tante miserie e poi ci dimentichiamo di loro, gli ultimi degli ultimi». Così tre mesi fa Grégoire Ahongbonon, che da oltre trent’anni ha cura dei malati mentali, aveva portato la sua testimonianza dal Benin ad Acireale. Era il 1984 quando vide per la prima volta un uomo in catene, vivo ma in decomposizione. Da allora grazie a lui tanti centri riabilitativi sono sorti in questi angoli di mondo: sono quelli di Saint Camille de Lellis, l’associazione che ha fondato in seno alla Grande Famiglia di San Camillo. Qui le persone con disturbi psichiatrici – grazie a professionisti di tutto il mondo che ne hanno sposato la causa – vengono curate farmacologicamente, seguite psicologicamente, avviate al lavoro e al reinserimento sociale. Grégoire, che era solo un gommista sfuggito al suicidio grazie alla Fede, ha restituito una vita dignitosa a decine di migliaia di malati mentali, raccogliendoli dalla strada, ridando loro la mobilità del corpo e della mente, la riconquista della progettualità. Lo chiamano il “Basaglia nero”.

Il suo volto commosso, dallo sguardo fermo e dal sorriso generoso, mi è tornato in mente leggendo che la pandemia lì, per quanto non esplosa, si somma a disagi già noti. Grégoire si è attivato con misure di contenimento ma adesso a preoccupare è l’approvvigionamento degli psicofarmaci. «11.500 euro servono entro maggio per far arrivare in tempo l’ordine dall’India». È l’appello per la raccolta fondi di cui si è fatto portavoce Pippo Scudero, psichiatra acese amico di Grégoire, parte della rete internazionale che ne sostiene la missione. Non solo sono lievitati i costi di trasporto, ma sono diminuiti i consueti aiuti esterni, vitali per un grande progetto che vive di «confiance» come ama ripetere il fautore.

Ora che le risorse sono canalizzate per l’emergenza coronavirus, ora che assistiamo a fisiologiche flessioni dell’economia, il nostro sguardo è inevitabilmente piegato su noi stessi. Da cittadini del mondo a cittadini fuori dal Comune il passo è stato breve. Ciò non solo è normale: è giusto. Ma mi chiedo, che fine farà il sostegno al volontariato internazionale? Cosa accadrà, sul lungo periodo, a donne, uomini, bambini salvati dagli aiuti e dall’empatia di tutto il mondo? Ci sono suoni, rumori, che hanno bisogno di sintonizzarsi con i nostri bpm per essere sentiti, perché lontani, troppo, per giungere alle orecchie. «Finché c’è un uomo ancora in catene è l’umanità che è incatenata», aveva concluso Grégoire. Riusciamo a sentirne il fracasso? Torneremo a credere non solo in una Sicilia e un’Italia migliore, ma in un mondo migliore? Chi avrà il coraggio di dare un passaporto all’empatia?

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