Angelo Di Leonforte
fa risorgere il jazz rinnovando le radici

È forse improprio parlare di una rinascita del jazz, più verosimilmente si può rilevare una riscoperta della musica afroamericana. In particolare, da parte di una nuova generazione di artisti della scena musicale europea. Nel momento in cui il pop si è trasformato in un algoritmo e quando il rap ha perduto la carica iniziale di rabbia, sulla cui scia si era diffuso tra le nuove generazioni afroamericane (lo stesso leggendario Max Roach mi confessò che se fosse nato oggi avrebbe abbracciato il rap), spetta ad alcuni giovani musicisti europei raccogliere una eredità che rischiava di smarrirsi dopo la scomparsa di tutti i suoi più grandi protagonisti.

«Ho sempre seguito l’insegnamento di Dado Moroni che mi diceva: “Quando esco da un concerto di musica d’avanguardia non ricordo nulla, non c’è stata una melodia, nemmeno una frase, che mi sia piaciuta”»

Giovani musicisti che attingono a piene mani alle radici del jazz. Cool, swing, improvvisazione, blues, elaborati nell’intento di rendere il proprio lavoro attraente sia per gli appassionati del genere sia per gli ascoltatori casuali. Banditi free e avanguardia. Il jazz risorge nelle notti londinesi, animate da una nuova ondata di musicisti che riprendono gli insegnamenti di Charlie Parker e John Coltrane, coniugandoli con ritmi e suoni più attuali. O tra i raffinati solchi del mainstream degli album dei siciliani Dino Rubino, Francesco Guaiana e Angelo Di Leonforte. «Io ho seguito sempre l’insegnamento di Dado Moroni che mi diceva: “Quando esco da un concerto di musica d’avanguardia non ricordo nulla, non c’è stata una melodia, nemmeno una frase, che mi sia piaciuta», ricorda Di Leonforte. «Qualcuno dice che i miei brani suonano antichi, ma la mia idea del Bello non è legata alla matematica come accade nell’avanguardia, io cerco la melodia che deve arrivare all’animo dell’ascoltatore».

Se Rubino e Guaiana sono ormai vecchie conoscenze della scena isolana, Angelo Di Leonforte è una sorpresa. Tale da aver sbalordito musicisti del calibro di Steve Swallow: «Angelo Di Leonforte è un pianista straordinariamente dotato, saggio oltre i suoi anni» scrive il bassista statunitense. «Suona come qualcuno che attinge da un profondo serbatoio di esperienza, qualcuno che canta una canzone sulla vita che ha vissuto. Sta facendo musica di altissima qualità e sono orgoglioso che il mio nome sia attaccato a un suo pezzo». Steve Swallow è infatti il titolo di uno dei nove brani che compongono This Too Will Pass, l’album in uscita il 4 settembre che segna l’esordio di Angelo Di Leonforte, pianista ennese di Assoro, classe 1985. «Sono stato studente a una masterclass di Swallow, alla fine della quale ho anche suonato con lui», racconta il musicista siciliano. «Gli ho dedicato un brano perché dal punto di vista della composizione è tra i miei riferimenti. Lui e Tom Harrell. Pur non essendo pianisti, possiedono entrambi una grande capacità nel costruire melodie ed armonie. Io chiamavo Swallow lo “scienziato della musica” per le sue geniali soluzioni armoniche. È stato il primo ad ascoltare il brano intitolatogli e ha sentito l’urgenza di scrivermi quelle righe per complimentarsi».

«Ho studiato e approfondito Bill Evans. Era una personalità affascinante, malinconica, romantica, nella quale spesso mi ritrovo come artista»

Se il collaboratore di Jimmy Giuffre, Gary Burton e Carla Bley è fonte d’ispirazione nella costruzione di una melodia o di un’armonia, il leggendario pianista Bill Evans è il modello per Angelo Di Leonforte. Al musicista del New Jersey è dedicata Waltz for Bill. «Sullo stile della celebre Waltz for Debby, anche se il mio ha poco di waltz, essendo in cinque/quarti», commenta l’ennese. «Bill Evans l’ho studiato e approfondito, ho cercato di carpire il suo modo di pensare una frase. Lui ha reso le armonie jazz più profonde e più ambigue, aggiungendo livelli di coinvolgimento alle canzoni. Era una personalità affascinante, malinconica, romantica, nella quale spesso mi ritrovo come artista». Come Bill Evans, anche Di Leonforte sceglie la formula del trio, l’espressione più alta del jazz dal secondo dopoguerra, portato ai massimi livelli dal pianista di Waltz for Debby prima e Keith Jarrett poi, adattato ai nuovi linguaggi musicali adesso da Brad Mehldau, «artista complesso e difficile, al cui studio mi sto dedicando attraverso lezioni online con Fred Hersch, che di Mehldau è stato il mentore», confessa l’artista di Assoro, che è anche docente presso l’Istituto Superiore di Studi musicali “Arturo Toscanini” di Ribera, che ha contribuito a rilanciare con la complicità di Daniela Spalletta e Giacomo Tantillo.

Alberto Fidone

Il pianismo di Angelo Di Leonforte è sobrio ed elegante, ma in grado di regalare brani di grande intensità. Improvvisazioni dove ogni singola nota pesa come un macigno, per senso melodico, armonico, insomma per giustezza. Come Evans, possiede inoltre la capacità di eclissarsi ed accompagnare, talvolta con solo una manciata di accordi, le incursioni solistiche del più sanguigno Peppe Tringali, il batterista gelese che ingaggia con i suoi tamburi un infuocato duello nella straordinaria More Than This. Il terzo vertice del triangolo è il sofisticato contrabbassista Alberto Fidone. Sono i tre protagonisti del miracolo musicale intitolato This Too Will Pass: dolce e romantico nel brevissimo Theme for my father; lirico e delicato in Children’s Eyes: Di Leonforte introduce il tema e sviluppa il brano, mentre Fidone lo incornicia con poche note di contrappunto e Tringali, alle prese con le spazzole, accompagna con grande sapienza. Sognante in Lipari e Terra, pirotecnico in New Arrival, travolgente in Waltz for Bill. Ritmicamente ardito nella citata More Than This, canzone-manifesto, insieme alla title-track, dell’intero album This Too Will Pass, ovvero “anche questo passerà”. Che non è riferito esclusivamente all’incubo pandemia, ma più in generale al concetto di “impermanenza”.

«Il senso dell’album è riflettere sul fatto che tutto va e viene, momenti belli e brutti, e non bisogna attaccarsi né all’uno né all’altro. Ci soffermiamo sulle piccole cose della vita, invece c’è molto più di questo»

«Sulla copertina dell’album ho voluto inserire una frase di Marco Aurelio che spiega il senso», spiega l’autore. “Considera spesso la rapidità con cui trapassa e dilegua tutto ciò che è e che nasce. La sostanza è infatti come un fiume che incessantemente scorre; le attività sono soggette a continua trasformazione, le cause a infiniti mutamenti” sostiene l’imperatore, filosofo e scrittore romano. Insomma, “panta rei”, tutto scorre, tutto passa, «tutto va e viene, momenti belli e brutti, e non bisogna attaccarsi né all’uno né all’altro», aggiunge Di Leonforte. «Ci soffermiamo sulle piccole cose della vita, invece c’è molto di più di questo». More Than This, appunto.

This Too Will Pass è tutto ciò che penso dovrebbe essere il jazz: il classico trio di basso, piano e batteria, con un titolo intelligente e semplice, ritmo, melodia, armonia e improvvisazione, con sentimento e passione.

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Laureato in Lettere moderne. Giornalista professionista. Ha collaborato con Ciao2001, Musica Jazz, Ultimo Buscadero, Il Diario di Siracusa. È stato direttore del bimestrale Raro! e caposervizio agli spettacoli al quotidiano "La Sicilia". Nel 2018 ha curato il libro "Perché Sanremo è (anche) Sicilia”. Nel 2020 ha scritto “Alfio Antico. Il dio tamburo” pubblicato da Arcana.

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