Antonello Piraneo: «Raccontare il territorio per conquistare i lettori di domani»

Fondato nel 1945, il quotidiano La Sicilia rappresenta oggi un caso paradigmatico della traiettoria di molte realtà editoriali che, pur restando un punto di riferimento per molti lettori affezionati, si trovano ad affrontare la sfida di tenere assieme una storica vocazione alle local news con la pressante esigenza di attrarre una nuova generazione di lettori abituata alla velocità di internet e dei social. Una questione che non è esagerato definire centrale per il futuro dei quotidiani cartacei. Anche su questo terreno, infatti, si gioca la partita per la loro sopravvivenza e per quella di un certo modo di fare informazione. Ne abbiamo discusso con il direttore Antonello Piraneo, che da quattri anni è al timone del quotidiano etneo, in occasione di un incontro del workshop “Il giornalismo che verrà” che si è svolto presso la Scuola Superiore di Catania.  

Direttore, c’è ancora un futuro per i quotidiani cartacei? Come sta affrontando, alla guida de “La Sicilia”, il tema della progressiva transizione al digitale?
«Come fare per evitare che il giornale tradizionale diventi un reperto archeologico è una domanda da un po’ più che un milione di dollari. La risposta è complicata, e la strada è in salita, ma io credo che ci sia bisogno di reinventarsi senza snaturarsi: bisogna restare un giornale legato al territorio, provare ad offrire quel qualcosa in più che non si è già sentito o letto altrove, e renderlo graficamente attraente, per attirare un pubblico giovane che vive immerso in un mondo sovraccarico di immagini e che sa che grafica è sostanza. È necessario fare del giornale uno strumento di divulgazione di ciò che accade nel proprio territorio, e per divulgazione intendo costruire un giornale che si faccia sponda delle istituzioni, che sia sponsor di eventi importanti, uno strumento non solo di informazione ma anche di formazione. Questo, oggi, si traduce nell’essere un giornale nel senso più tradizionale della parola, ma anche nell’avere uno sguardo su ciò che succede a livello globale, ed utilizzare l’autorevolezza acquisita per fare anche altro, per essere una voce che gioca il suo ruolo sul territorio. Se fossimo un giornale solo di carta avremmo già perso questa sfida».

Come lei stesso ha sottolineato, la generazione Z naviga dappertutto e sempre più di frequente preferisce informarsi sui social network. Secondo lei, può questo genere di contenuti informativi aspirare ad avere una lunga durata? E in che modo possono incontrare il mondo dell’informazione che fino a qualche anno fa rappresentava il modello dominante?
«Anche quella che gira sui social va considerata informazione, e anche quello è un mondo a cui dobbiamo approcciarci, abbracciandolo il più possibile. A patto che si continui a pensare a questi contenuti come complementari rispetto all’informazione tradizionale. Sono mondi che si possono incontrare, a mio parere, solo sul terreno della qualità. Se proviamo ad accorciare la distanza che esiste tra questi due mondi molto distanti tra di loro, e lo facciamo sulla qualità e sulla prontezza dell’informazione, è possibile incrociarsi e diventare complementari. Bisogna, quindi, convincere coloro che chiamiamo nativi digitali che la qualità può fare la differenza: non basta aver letto qualcosa da qualche parte, ma bisogna cercare di capire da dove viene l’informazione, soprattutto capire se è attendibile. Il Covid ha acuito il tema della quantità di notizie che finiscono sui social, e ora più che mai è necessario saperle distinguere, considerando i social network non come un demone ma come un valore aggiunto, esaltando la differenziazione dell’informazione».

Tra le sfide più consistenti lanciate da internet all’informazione tradizionale risalta quella della tempestività nel riportare le breaking news che una volta erano appannaggio del quotidiano che si trovava in edicola. Come può oggi una realtà editoriale che ha ancora il suo zoccolo duro di lettori appartenenti al cartaceo, recuperare questo handicap?
«Arrivare ventiquattro ore dopo la notizia può anche costituire un vantaggio: chi scrive utilizza quel tempo a disposizione per approfondire l’accaduto, non limitandosi ad esporre i fatti in maniera concisa, ma creando un servizio che sia utile al cittadino per acquisire maggiore consapevolezza del mondo che gli sta intorno. I quotidiani cartacei diventeranno inevitabilmente un prodotto di nicchia ma sono convinto che conserveranno un ruolo sociale importante nel raccontare le notizie e spingere a capire le cause profonde delle vicende che racconteranno. Se il giornale riuscirà a fare tutto questo, manterrà ancora una certa centralità».

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Collaboratrice del Sicilian Post dal 2020. Si interessa di editoria, cultura e tematiche sociali. È laureata in Comunicazione presso l'Università di Catania.

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