Il fotografo catanese, collaboratore di Reuters: «La durezza di uno scatto è il mezzo più opportuno per denunciare gli eventi più gravi della realtà e farla cambiare, ma è sempre importante rispettare la dignità delle persone»

Nell’epoca di “Instagram” e di smartphone sempre a portata di mano, miriadi di foto circolano con estrema facilità e rischiano di perdere il loro valore, ma in un contesto simile qual è il ruolo del fotoreporter? Tutti noi ricordiamo la tristemente nota foto di “Aylan”, il bambino con la maglietta rossa privo di vita sulle coste turche, che ci ha scossi e ci ha fatto aprire gli occhi sul fenomeno migratorio, emergenza umanitaria e non semplice elencazione di numeri. È possibile che un’immagine ci induca a “restare umani”, magari attraverso il racconto di ciò che i marinai italiani fanno ogni giorno? Il lavoro del fotogiornalista catanese Antonio Parrinello, apprezzato collaboratore dell’agenzia Reuters, sembrerebbe dirci di sì. «Lo scatto del fotoreporter – racconta – deve documentare la realtà, essere una notizia a tutti gli effetti. Se nel mondo dell’arte ogni foto è frutto di soggettività e mezzo d’espressione del proprio io, per chi fa il mio mestiere l’unico elemento di soggettività consiste nel punto di vista da cui si sceglie di scattare, ma per trovare quello opportuno possono anche volerci settimane a bordo di una nave della Marina».

Donna migrante al porto di Catania (ph. Antonio Parrinello)

DALLA PELLICOLA AL DIGITALE. La carriera di Antonio Parrinello inizia negli anni ’90, con gli scatti di cronaca e società realizzati per il quotidiano “La Sicilia” di Catania, quando ancora le macchine fotografiche avevano bisogno di una pellicola e lo scatto non aveva la stessa rapidità di oggi. Afferma a tal proposito Parrinello: «Il digitale ha aiutato molto, ha velocizzato notevolmente i tempi di scatto e permette di fotografare anche quando le condizioni, a livello di illuminazione, non sono ottimali. Non è necessario attendere i tempi di sviluppo e non c’è un numero limitato di pose, questo però non significa che il modo di fare foto sia cambiato: bisogna comunque cercare di scattare in modo tecnicamente impeccabile, evitando di ritoccare la foto con le nuove tecnologie, proprio come se si trattasse di un vecchio negativo».

Il gigante e la bambina (ph Parrinello)

I SUCCESSI. Capacità e passione hanno portato Antonio Parrinello a vedere i suoi scatti pubblicati su note riviste nazionali e internazionali come “Time” o esposti in mostre di successo come “Etna Patrimonio Unesco”, organizzata nel 2013. Grazie ai corsi di televisione e cinema seguiti al “Centro Sperimentale Televisivo” di Roma, Parrinello ha lavorato come fotografo di scena su set cinematografici ed è stato direttore della fotografia in numerose produzioni. Il suo nome oggi, tuttavia, è noto soprattutto per l’interesse nei confronti del fenomeno migratorio, cui ha rivolto la propria attenzione ancor prima che questo divenisse un vero oggetto mediatico. «Quando si denuncia una situazione così grave – spiega il fotoreporter – è importante avere la giusta sensibilità, rispettando sempre la dignità di persone disperate». Nasce così uno dei suoi scatti più apprezzati: “Il gigante e la bambina”, in cui sono immortalati un uomo scampato dagli orrori della Siria e tra le sue braccia una piccola bambina da lui salvata.

Militare della Marina italiana con bimbo in braccio (ph. Parrinello)

REUTERS. Da alcuni anni Antonio Parrinello collabora con Reuters, l’agenzia di stampa britannica insignita lo scorso anno del premio Pulitzer proprio per il suo racconto del flusso migratorio nel Mediterraneo. «Gli scatti realizzati per loro – spiega ancora Parrinello – devono avere una valenza internazionale, cosa non facile da ottenere, e tra i più significativi vi sono quelli che ritraggono i migranti nel momento esatto dello sbarco, quando scendono da quei barconi che dimostrano lo stato di disperazione e miseria da cui fuggono. Spesso gli scatti più rappresentativi provengono dalla Turchia o dalla Grecia, dove questi uomini sbarcano senza alcun aiuto, mentre oggi sulle nostre coste giungono assistiti dalle navi della Marina». La prospettiva scelta dal fotoreporter Catanese è però diversa, più dignitosa, quella dell’incontro tra i migranti e i loro salvatori. È il caso dell’immagine del bimbo che batte il cinque a un marinaio, divenuta vero e proprio simbolo dell’attività di salvataggio compiuta dalle nostre autorità. Una foto che ha fatto il giro del mondo, ripresa da moltissimi media, che arriva dritta al cuore di chi la sta guardando. Gli scatti di Parrinello non offendono la dignità di questa gente disperata, ma denunciano la gravità della situazione senza essere invasivi: foto di questo tipo costituiscono una memoria storica fondamentale e la loro insostituibilità è paragonabile a quella delle dolorose immagini della Seconda Guerra Mondiale.

Lampedusa. Le 366 bare del naufragio del 3/10/2013 (ph. Parrinello)

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