Aprire il cuore e la propria casa: Daniela, Giuseppe e il dono dell’affido educativo

È la Vigilia di Natale di sette anni fa. Daniela e Giuseppe attendono che un bambino arrivi nella loro casa dall’istituto per minori in difficoltà in cui vive. Comincia quel giorno ciò che adesso chiamiamo ‘affido educativo’ e per loro significa la disponibilità ad ospitarlo nei fine settimana e durante le vacanze.

Tutto aveva avuto inizio nell’estate del 2016, ad un pranzo con amici. Una di loro, Rosi, dell’Associazione Famiglie per l’Accoglienza, aveva raccontato l’esperienza di affido vissuta nella sua famiglia. Una strana bellezza trapelava dalle sue parole e Giuseppe e Daniela erano stati attenti, curiosi. Genitori di tre figlie, intuivano il dolore dei ragazzi di cui si parlava e quale speranza ci potesse essere nell’accoglierli.

«Una sera – ricorda Giuseppe – ero tornato insolitamente presto a casa, quando ho ricevuto una telefonata da un numero non registrato in rubrica. Ho tentennato nel rispondere vista l’ora, poi mi sono deciso e ho risposto. Era Rosi e ci chiedeva la disponibilità a diventare una famiglia d’appoggio per un bambino che viveva in un Istituto proprio vicino casa nostra. Non era più un discorso generico sui bisogni dei piú piccoli soli o abbandonati o un racconto di altri, con quella telefonata si era presentata una richiesta diretta a noi come famiglia e urgeva una risposta precisa». 

Dopo un confronto fra i coniugi, la proposta è fatta alle figlie, che la accolgono con grande entusiasmo. Il passo successivo è quindi l’incontro con il direttore dell’Istituto, per il desiderio di capire meglio cosa venisse loro chiesto. Daniela lo comprende bene: «Proprio alla Vigilia di Natale è come se ci venisse chiesto di accogliere quel bambino, accogliendo Gesù Bambino stesso». Si interrompe un momento, poi riprende: «Quel periodo delle vacanze di Natale è stato segnato dall’entusiasmo di tutti e in particolare delle nostre figlie per la presenza di questo bambino, che chiedeva di essere accolto e voluto bene, in ogni modo. È stato triste la prima volta riaccompagnarlo in istituto: lui voleva rimanere con noi».

Fare spazio ad un altro non è mai semplice, soprattutto se l’altro ha un vissuto drammatico e presenta dei limiti. «È stato necessario, ed è continuamente necessario, ridarsi le ragioni di un gesto che, se ci si pensa con lucidità, non è così naturale…accettare di condividere la propria casa, i propri giochi e soprattutto l’affetto dei propri genitori con un estraneo. La ragione ultima, a cui ricorriamo nei momenti di difficoltà, è che attraverso l’accoglienza impariamo la carità, perché è un gesto di pura gratuità senza un tornaconto; impariamo la condivisione, perché mettiamo a disposizione quello che abbiamo con un “estraneo”.  Questo allarga il cuore e vediamo crescere la nostra umanità. Ci ricordiamo che anche noi siamo accolti nonostante i nostri limiti, anche se facilmente questo aspetto spesso lo dimentichiamo». 

Le parole di Daniela sono semplici e profonde. C’è un cammino che si fa e se lo si condivide con degli amici,  insieme s’impara questa apertura del cuore, e la si può vivere e mostrare ai figli. Si impara ad amare così: senza un tornaconto e per sempre. «Da quel Natale in cui lo abbiamo accolto – spiega – non lo abbiamo più lasciato. Ogni venerdì ci aspetta. Grazie a questa cadenza, ha imparato a distinguere i giorni della settimana, che è l’unica scansione temporale che riconosce, in quanto fa fatica a individuare le ore durante il giorno o i mesi durante l’anno. Adesso però aspetta il venerdì e le vacanze! Insieme a noi ha anche cominciato a parlare di se stesso senza usare la terza persona, insomma ha cominciato a riconoscersi. Il nostro gesto di accoglienza, con tutti i limiti che ha, è però totalmente gratuito e libero da alcun esito. Vediamo infatti i progressi che ha fatto in questi anni, ma ci accorgiamo anche dei passi indietro che fa soprattutto adesso, nell’adolescenza. Così, a volte capita di provare un certo sconforto perché pensiamo che gli sforzi fatti, le parole dette, la fatica fatta possano essere stati inutili, ma poi ci ricordiamo che l’esito di quello che facciamo non lo possiamo definire noi, è un Mistero. Quello che accadrà a questo ragazzino quando diventerà adulto, cosa potrà fare, come potrà vivere, noi non lo sappiamo, ma siamo certi che c’è un disegno buono anche per lui. In fondo potrebbe non esserci un risultato “concreto”, o forse il vero risultato concreto è l’attenzione alla persona, la considerazione della persona, cioè l’amore». 

Anche per i figli naturali, quello che accadrà non è nelle mani dei genitori, quello che è seminato attraverso loro, non sappiamo se e come fiorirà, ma ciò che veramente conta è amarli in modo totalmente gratuito e libero da alcun esito, per il loro esserci, così come sono. Che strano che, accogliendo un bambino, anche solo per i fine settimana e le vacanze, si possa imparare ad amare così anche i propri figli!

Daniela conclude: «Il percorso non è finito, è una sfida costante. E la fatica è buona, perché ci aiuta a guardare il mondo in maniera diversa, ci aiuta a ricordarci di cosa abbiamo veramente bisogno e a ridare il giusto valore alle cose». La condizione è semplicemente non restare da soli e il percorso può diventare un’avventura ricca di significato, insieme a dei buoni compagni di viaggio. Una rete di famiglie che si accompagnano ad approfondire le ragioni e a gustare questo cammino insieme è l’Associazione Famiglie per l’Accoglienza (accoglienzact@gmail.com), che propone l’esperienza dell’affido familiare o educativo, come un bene per chi la riceve, ma soprattutto per la famiglia che si mette in gioco.

Accogliere il Bambino Gesù nel segno di un bambino disagiato, anche in questo Natale, può essere una proposta per tanti e dischiudere profondità insospettabili, così come è stato per Daniela, Giuseppe e le loro figlie.

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