La Formazione, lo posso ben dire da studente universitario, rappresenta una tappa fondamentale dello sviluppo di un individuo. La sua funzione è collegare il mondo dell’adolescenza e quello del lavoro. Nondimeno, a volte il ponte si frattura o, peggio, crolla. Abbiamo tra le mani un caso freschissimo e allarmante: il digital e cultural divide fatto emergere dalla crisi Covid-19. Nonostante la prontezza di scuole e università nel transitare verso la modalità della didattica a distanza, molti studenti indigenti sono rimasti esclusi dall’offerta formativa. A Catania, così come a Torino, si è visto che molti non riescono ancora ad accedere alle piattaforme per la didattica a distanza. Ed è interessante che lo faccia notare anche Cristiana Poggi, la responsabile di Piazza dei Mestieri, una delle più importanti scuole di formazione professionali del nostro Paese.

Ma ci sono casi altrettanto preoccupanti che si verificano annualmente, come quelli relativi al malfunzionamento dei corsi offerti dalla Formazione professionale della Regione siciliana. Che i corsi di formazione professionale siano visti – almeno in Sicilia – come scappatoia dalle fatiche della scuola statale è cosa nota. L’idea di autoinfliggersi tre anni al posto dei canonici cinque è molto allettante. Ma non sempre si preventiva che quei tre anni potrebbero pesare come cinque, forse di più: i corsi, infatti, potrebbero non seguire il calendario scolastico tradizionale. Uno studente che inizia l’anno scolastico in ritardo potrebbe provare un leggero senso di inferiorità, quando scopre che i suoi pari sono già attivi mentre lui aspetta l’inizio delle lezioni, e di irritazione, quando lui continua ad andare a scuola mentre gli altri sono già in vacanza.

Un corso che richiederebbe in media tre anni viene concluso in cinque, con lunghe soste tra un anno scolastico e l’altro e con il rischio di perdere definitivamente lo studente che, sentendosi abbandonato, potrebbe avviarsi a una vita di criminalità. Come spiegava Roberto Cellini, oggi direttore del Dipartimento di Economia dell’Università di Catania, in un suo articolo per “La Sicilia”, i ritardi nell’avvio dei corsi di Formazione professionale della Regione siciliana generano un danno economico e sociale notevole.

Ci troviamo di fronte a due movimenti inerziali: quello dell’istruzione regolarmente garantita e fruita, e quello negativo di casi come la Formazione professionale. Eppure, il secondo movimento è misteriosamente più facile, quasi come se la rottura della quotidianità da esso creata fosse paradossalmente regolare. Certamente non per gli studenti, nemmeno per quelli meno in sintonia con il sistema scuola.

I giovani sono il futuro di un paese. Non è una frase fatta. Eppure, oggi più che mai, analizzando la situazione italiana, quella frase ha il sapore di un luogo comune. Sappiamo che i giovani sono una componente fondamentale nell’economia di un paese, ma nessuno propone soluzioni concrete. Senza un rinnovamento ciclico della popolazione nazionale, si rischia una stagnazione economica e culturale. Senza formazione, inoltre, l’Italia rischia di riprendere le attività lavorative senza avere il personale formato per le nuove esigenze del mercato, che non saranno più quelle di prima della pandemia.

Io, come detto, sono uno studente universitario. La mia carriera è in fase di costruzione, ma so già che non potrò accontentarmi dei confini della Sicilia – e nemmeno di quelli italiani. Ma chiedo: ridiamo la speranza a chi verrà dopo di me di essere il futuro di questo paese.


“Si­ci­lian Voi­ces” è il luo­go in cui i let­to­ri di Si­ci­lian Post pren­do­no la pa­ro­la e ini­zia­no un dia­lo­go sui temi che stan­no loro più a cuo­re. Per­tan­to il con­te­nu­to che ave­te let­to po­treb­be non ri­spec­chia­re le opi­nio­ni e la li­nea edi­to­ria­le del gior­na­le.

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email