«La Fura dels Baus è un’organizzazione criminale all’interno della scena teatrale attuale», si legge in uno dei punti del Manifesto sovversivo di Canalla che la tribù del teatro scrisse nel 1983, a immagine delle avanguardie storiche. Nell’autunno di quell’anno, presentarono in anteprima l’embrione dello spettacolo che li avrebbe portati sulla bocca di tutti: Accions. Vestiti come dirigenti, i giovani “fureros” distrussero un’auto a colpi di mazze e asce. Nessun argomento, solo sequenze. Accions fu uno shock viscerale per un pubblico che non era abituato a una distanza così ravvicinata con gli attori. Potevano sentire il loro sudore, il loro odore, il loro respiro. In quelle prime azioni cominciarono a sviluppare, anche se non ne erano nemmeno consapevoli, la loro drammaturgia delle sensazioni.

L’origine dell’utopia della Fura risale a un piccolo paese catalano, Moià, che alla fine degli anni Settanta raggiungeva appena i 3.000 abitanti. Tre ragazzi che non avevano ancora compiuto 18 anni – Carlus Padrissa, Pera Tantiñá e Marcel·lí Antúnez – allestirono la prima mostra d’arte nella regione dopo la morte di Franco. Ma il sindaco chiuse e sequestrò «le opere perché, secondo lui, il contenuto era osceno», ricorda Padrissa. I tre di Moià partirono così alla volta della più liberale e anarchica Barcellona e unirono i loro studi con un carro e un mulo, con i quali attraversarono le città catalane per improvvisare teatro di strada. Era il 1979.

Un dettaglio della messa in scena delle “Baccanti”.
Foto di G. Attardi

Quarant’anni dopo, come ricostruisce Mercè Saumell nel libro In Quarantine. 40 anni di percorso di gruppo: 1979-2019, la Fura è diventata la compagnia spagnola che meglio ha messo in scena l’estetica della crudeltà propugnata da Artaud. Sempre con un equilibrio tra il popolare e il sofisticato, l’atavico e il tecnologico, il corporale e le protesi meccaniche. Una volontà di trasgressione che ha rivoluzionato anche il mondo operistico. «Il suo più grande contributo all’opera è stato per l’aspetto visivo. Hanno unito la carnalità del presente e dei corpi virtuali con proiezioni ipersofisticate di qualità quasi cinematografica. Fin dall’inizio, La Fura ha saputo scoprire l’aspetto performativo del digitale», afferma Mercè Gatell.

Quella rivoluzione viene adesso applicata al teatro classico greco a Siracusa. Carlus Padrissa, uno dei fondatori della compagnia catalana, è il regista delle Baccanti di Euripide in cartellone nella stagione numero 56 dell’Inda. Sessantaduenne affronta i suoi lavori con lo stesso spirito di quando a 6 anni faceva il chierichetto e suonava «la campana al culmine del rito: scenografie di crocifissioni, musica, voce, effetti di riverbero, fumo e profumo di incenso e vino dolce totalmente immersivi… Lì ho imparato le basi dello spettacolo totale». Che, per Padrissa, significa «esperienza immersiva a 360 gradi».

Per mettere in scena le Baccanti, il regista catalano occupa l’intero spazio del Colle Temenite a 360 gradi: dalla scena alla platea sino al cielo. E lo riempie di giocattoloni, come una marionetta gigante, dieci metri di vetroresina, che raffigura Zeus, partorisce Dioniso da una coscia come vuole la leggenda. E poi una enorme testa umana in 3D alla Kraftwerk in metallo e la sagoma di un toro antropomorfo dalla quale salta fuori la protagonista indossando una maschera cornuta. E ancora giostre metalliche, maschere, tamburi, bidoni. Le Baccanti appaiono sul colle Temenite, sopra la cavea, e da lì sciamano verso la scena a ritmo chiassoso. Il coro si alza in volo imbracato alla gru formando un groviglio di corpi.

Un momento dello spettacolo. Foto di G. Attardi

È teatro totale. Padrissa mette insieme Living Theatre, l’arte di strada, musical, Cirque du Soleil, opera lirica, rock e dei pupi. E fa risuonare suoni sacri e barbari come l’elettronica, la disco dance, il rap di Domenico Lamparelli e persino un accenno della canzone La stagione dell’amore di Franco Battiato, omaggio del regista alla musica italiana della quale s’innamorò ascoltando «un italiano venuto a Barcellona: comprò una chitarra e un piccolo hotel sulle Ramblas e compose Il mondo. Si chiamava Jimmy Fontana».

Caos e ambiguità dominano. Come il/la protagonista. Dioniso. Interpretato da Lucia Lavia, che recita, balla e danza come una rockstar. «Dioniso vuole il potere, come Faust, il suo potere è oscuro, come la parte più nascosta dell’inconscio. Ma io ho voluto una donna ad interpretare Dioniso, guerriera, ma al tempo stesso femminile, seduttiva, fertile, come la luna, la donna può generare la vita». E così #MeToo trionfa anche al Teatro greco.

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