“Brivido” Blanco a Catania riempie per due volte Villa Bellini
Ha messo i Brividi all’Italia intera in coppia con Mahmood, e ora raddoppia o triplica le date del suo nuovo – e primo – tour. È l’effetto Blanco, il fenomeno musicale del momento, che ha aggiunto ed esaurito anche il secondo appuntamento a Catania: dopo quello del 30 luglio, il diciannovenne neovincitore della edizione numero 72 del Festival di Sanremo farà il bis alla Villa Bellini il 31 luglio 2022. I biglietti, per entrambe le date sono andati polverizzati in pochissime ore.
All’anagrafe Riccardo Fabbriconi, classe 2003, Blanco aveva già conquistato il mercato discografico prima di Sanremo, collezionando in meno di un anno 28 dischi di platino, 7 dischi d’oro e più di 1 miliardo di streaming totali. Le sue canzoni hanno invaso Tik Tok. Poi la definitiva consacrazione al Festival, insieme a Mahmood, con il brano Brividi, il singolo più ascoltato di sempre in un giorno su Spotify Italia con 3.384.192 stream in sole 24 ore dall’uscita. E una platea social che ogni giorno cresce al ritmo di oltre centomila “like” al giorno. Che, tradotto in numeri, equivale a 4.600 nuovi fan all’ora, circa 76 al minuto.
Il ragazzo bresciano di Calvagese della Riviera è entrato nella top ten dei cantanti italiani uomini più seguiti su Instagram con 2 milioni di follower, staccando mostri sacri come Vasco Rossi (1,9 milioni), Eros Ramazzotti (1,6), i bolognesi Gianni Morandi e Cesare Cremonini, osannati dal pubblico di Sanremo almeno quanto lui (fermi a 1,4 milioni). E il vero boom, con l’Eurovision Song Contest in programma fra tre mesi, deve ancora venire.
Fabbriconi piace alle nonne e alle adolescenti: ha saputo far breccia nel cuore di vip e nip. Per fare il cantante ha messo da parte, senza rimpianti, i libri dell’istituto tecnico che non ha concluso ed i sogni di calciatore. «Più che cantare, avevo il desiderio di scrivere» ha raccontato a Radio Deejay pochi giorni fa. «Nel frattempo cantavo come sfogo, così ho unito le due cose». Sui fogli butta giù i suoi sfoghi di adolescente. Canta di Notti in bianco, parla e scrive di amori sofferti. Siamo “fottuti figli di puttana / Siamo scappati di casa / Come animali randagi” urla in Figli di puttana. È un giovane che “sotto la pioggia come la prima volta / A cantarti Nel blu dipinto di blu / Era la canzone nostra”. Interpreta canzoni dallo stile difficilmente inquadrabile in cui le linee melodiche accattivanti, cantate con l’aggressività e l’emotività dell’adolescenza, con romanticismo e carnalità, convivono con una sensibilità autentica e trasparente. Nelle sue canzoni è spesso presente un senso di decadenza, un sentimento triste che accompagna i testi e l’interpretazione. Come Blu celeste, il singolo uscito in contemporanea con l’album omonimo, in cui si racconta nel profondo. Il brano parla di una persona scomparsa che ha lasciato in lui un dolore tramutatosi in un mostro, tra sensi di colpa, disperazione e smarrimento. La parola “celeste” l’ha anche tatuata sull’addome. Non ha mai voluto raccontare nel dettaglio a chi sia riferita la canzone: «Vorrei solo che ognuno si immedesimasse pensando a qualcuno che ha perso».
Qualcuno lo ha definito un “post trap”, altri “il volto di qualcosa di nuovo, più punk, emotivo e diretto di chi l’ha preceduto”, ma i punti di riferimento lo accosterebbero al cantautorato. «Spazio molto tra gli ascolti. Ma a ispirarmi di più sono stati i grandi cantautori del passato: Battiato, Battisti, Celentano, Lucio Dalla, Gino Paoli per citarne alcuni. Artisti che hanno scritto canzoni immortali, che possono essere apprezzate da tutte le generazioni», rivela Blanco, rifuggendo da qualsiasi definizione.
«Non mi piace quando si cerca di darmi delle etichette», chiude ogni tentativo di schematizzarlo. «Quello che mi interessa veramente è fare musica. Che questa sia rock, pop, punk per me è sempre musica e conta solo questo. La gente tende a mettere nei cassetti e dare le etichette, invece la musica andrebbe solo ed esclusivamente ascoltata senza dare troppe definizioni. Poi sinceramente non mi hanno mai interessato le definizioni che la stampa mi ha dato».
Nel Festival più fluido della storia di Sanremo, insieme con Mahmood hanno voluto lanciare un messaggio a favore dell’amore totale, senza limiti, senza differenze di genere. Il ritornello, poi – “e ti vorrei amare ma sbaglio sempre/e ti vorrei rubare un cielo di perle” – è già un manifesto per molti Millennials e non solo. «Ma non mi sento paladino di niente», tiene a precisare Blanco. «Sono contento che le persone dicano che abbiamo trattato temi importanti, ma in realtà non ci sembra di aver fatto niente di speciale. Abbiamo parlato di cose che per noi sono la quotidianità e che dovrebbero essere date per scontate, anche se ancora non lo sono. Non ci sembra però di aver fatto chissà che. Ci abbiamo messo cinque mesi per fare questo pezzo, ma sempre con grande semplicità».
Davanti al travolgente successo Blanco resta Riccardo Fabbriconi, il ragazzo di un piccolo paese di provincia di poco più di tremila anime, legato ai genitori, i primi ad abbracciare dopo la premiazione sul palco dell’Ariston. Un ragazzo che non si erge a modello e che s’inchina davanti ai veri “big”, come Morandi e Ranieri o come quel Gino Paoli che ha riletto insieme con Mahmood nella serata delle cover. «Guardi non vorrei essere l’esempio di nessuno. Quello che mi interessa è fare musica», sottolinea. «Mi fa enormemente piacere avere tanta gente che apprezza il mio lavoro, ma non punto certo a essere un capostipite di qualcosa. Io seguo il mio istinto musicale e se un giorno nascerà l’era Blanco ne sarò molto felice. Per adesso siamo ancora nell’era Vasco che per me resta il re indiscusso della musica italiana».
Ma tra il Blasco nazionale e Blanco la differenza fra non molto potrebbe essere solo una lettera.