«La letteratura ha una sola ragion d’essere: salvare colui che la fa dal disgusto di vivere». Joris-Karl Huysmans, scrittore, poeta e critico francese della seconda metà dell’800, di mezze misure non ne ha mai avute. Eclettico, stravagante, estremo, pioniere di quell’Estetismo da cui Gabriele D’Annunzio attingerà a piene mani, fu spesso al centro di accese dispute scaturite dai suoi comportamenti – e dai suoi giudizi – decisamente divisivi. Su una cosa, tuttavia, l’autore del celebre romanzo À rebours (in italiano pubblicato come Controcorrente) ha ragione: la letteratura possiede intrinsecamente una dimensione salvifica. È rifugio contro la prosaicità del quotidiano, baluardo di sincerità in una società votata alla menzogna, totem che rifiuta tutt’oggi di sottomettersi agli assalti dei potenti che vorrebbero piegarla al loro volere. Il regno delle infinite possibilità, la finzione suprema che smaschera la vita stessa. Un concetto che il nostro Gesualdo Bufalino ribadì più volte nel corso della sua vita interamente consacrata a questa ammaliante e fidata compagna, di cui ha esplorato sapientemente potenzialità e declinazioni. Perché se è vero che la sua figura è indissolubilmente legata ai grandi romanzi, non va certo dimenticato quanto fosse variegata, nell’autore di Comiso, la tempra del narratore. Non è un caso che Bufalino abbia affidato alcune tra le sue più significative riflessioni a forme testuali differenti, come ad esempio il saggio sui generis sulla sicilianità La luce e il lutto. O, addirittura, ad un racconto breve a sfondo distopico, rarissimo esempio per l’intera produzione nazionale.

Le visioni di Basilio ovvero La battaglia dei tarli e degli eroi, infatti, al di là di un certo gusto per il titolo parodico che rimanda ad alcune prove letterarie leopardiane, si inserisce piuttosto nel solco di una prestigiosa linea tematica internazionale, che comprende altri giganti come Tommaso Moro, George Orwell, Franz Kafka e, soprattutto, Ray Bradbury, autore di Fahrenheit 451. L’ambientazione post-apocalittica immaginata da Bufalino, del resto, prende le mosse da un evento molto specifico: un insetto di dimensioni microscopiche è responsabile della progressiva sparizione di gran parte dei libri conosciuti dall’umanità. Vittima, forse, di un crudele scherzo del destino, o di una perfida ripicca di una «Natura misantropa», ferita e umiliata dall’azione dei suoi fastidiosi ospiti e ora beffardamente compiaciuta di averne disperso ogni patrimonio memoriale. Per salvare ciò che rimane della nostra millenaria cultura, i governi di tutto il mondo decidono di radunare i volumi ancora integri presso un monastero situato sulla vetta del Monte Athos (luogo simbolico in cui si racconta che Serse, sovrano dei Persiani, per evitare di circumnavigarne l’impervio promontorio fece costruire dei canali, sovvertendo l’ordine naturale macchiandosi di arroganza agli occhi delle divinità) e di affidarne la guardia al monaco Basilio. Ben presto la sua missione si tramuta in tentazione: l’uomo non riesce a resistere al richiamo di quelle pagine accuratamente imballate per evitarne l’erosione da tarlo e finisce per leggere sempre più libri. Così facendo, tuttavia, li condanna alla sparizione: troppa è la velocità degli insetti, inarrestabile il loro famelico appetito. Nel tentativo di opporre un ultimo, disperato rimedio, Basilio si cosparge di miele, attirando le minuscole creature su di sé, per poi lanciarsi tra le acque del Mar Egeo. Un finale dai contorni drammatici, che tuttavia cela molto più di quanto appaia ad una prima lettura. Non soltanto perché nella vicenda di Basilio si scorge chiaramente la parabola esistenziale dello stesso Bufalino, accanito fruitore di letteratura che per sessant’anni visse nel silenzio e nella meditazione dei propri scritti, ma anche per il significato da addebitare al sacrificio del monaco.

Monastero sul Monte Athos

Basilio non sopravvive al tesoro che sta proteggendo, ma è artefice della sua conservazione. Fuor di metafora, l’opera letteraria scavalca i limiti del tempo e si staglia su un orizzonte di eternità che la rende indipendente persino rispetto al suo creatore. Nell’inevitabile trapasso del singolo – ci dice Bufalino – è insita la preservazione comunitaria, la sopravvivenza della memoria che, all’occorrenza, ci ricorda quali sono le ragioni capaci di renderci umani. Finché, insomma, continuerà ad esistere il recinto sacro della letteratura, la fragilissima ma sostanziale anima che lo governa, fatta di inchiostro e di pagine, ci sarà sempre qualcosa in cui credere. E qualcosa per cui varrà la pena costruire un domani.

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