Cambiare il mondo
con una fotografia:
così il dolore del Kashmir
ha vinto il Pulitzer

In una società in cui l’immagine la fa da padrone, nel bene e nel male, alcuni studi hanno dimostrato che il cervello è 60 mila volte più veloce ad elaborare le immagini rispetto ad un testo scritto,  ci sono foto che si impongono lasciandoci senza respiro. Questo il caso delle foto che nella sezione “Feature Photography” (“Servizi fotografici”) hanno vinto il Premio Pulitzer 2020. I vincitori sono stati: Channi Anand, Mukhtar Khan e Dar Yasin della agenzia fotografica Associated Press per aver narrato il conflitto nel Kashmir, regione situata a nord del subcontinente indiano fra India e Pakistan.

La foto scelta per questo spazio è una tra le tante che sono state premiate nella sezione. Questa la motivazione: «Per le immagini impressionanti catturate durante un blackout delle comunicazioni nel Kashmir, che raffigura la vita nel territorio contestato dopo che l’India l’ha privato della sua semi-autonomia». Lo scatto rappresenta un vero pugno nello stomaco per chi lo guarda con attenzione. I due contendenti, l’uomo che lancia le pietre e la camionetta della Polizia indiana, sono al centro di una storica disputa territoriale tra India e Pakistan, lo Stato del Kashmir è stato privato della propria autonomia ad agosto dello scorso anno, quando il governo indiano ha deciso di revocagli lo “status speciale” attuato fin dagli anni Cinquanta e previsto dalla Costituzione.

Non si può guardare questa foto senza pensare a cosa sta dietro. L’uomo che si scaglia violentemente contro la polizia si sta difendendo dopo aver subito un sopruso immenso. Arrivare a reagire con la violenza di fronte ad una ingiustizia evidente deve essere una scelta molto combattuta. L’immagine è particolarmente drammatica per la forza con cui l’uomo distaccato dal terreno, come se fosse in volo, scaglia con tutto sé stesso la pietra che ha in mano. Uno dei fotoreporter del servizio, Dar Yasin, ha detto che vedere il loro lavoro premiato ha un grande significato sia professionale che personale per lui: «Non è solo la storia delle persone che sto fotografando – ha affermato – ma è anche la mia storia».

Yasin e Khan vivono a Srinagar, la più grande città del Kashmir, mentre Anand nel distretto di Jammu. L’Associated Press ha spiegato che i suoi fotografi sono riusciti a documentare quel periodo di proteste e scontri correndo grandi rischi, a volte rifugiandosi in casa di sconosciuti o nascondendo le macchine fotografiche nei sacchetti delle verdure. Khan e Yasin giravano a turno per le strade di Srinagar per cercare le notizie, spesso senza riuscire a tornare a casa per giorni o far sapere alle loro famiglie che stavano bene.

Per riuscire a consegnare le immagini nonostante le difficoltà nelle comunicazioni si recavano all’aeroporto di Srinagar nel tentativo di convincere alcuni estranei diretti a New Delhi (dove ha sede l’ufficio centrale dell’agenzia) a fare da tramite per l’arrivo a destinazione del materiale fotografico: alcuni hanno rifiutato per paura di problemi con le autorità, altri hanno accettato e così, fortunatamente, la gran parte delle fotografie è arrivata a destinazione.

A volte anche solo una fotografia può avere il potere di far cambiare le sorti della storia di una nazione, facendo arrivare molto oltre ciò che si vede. La serie di immagini, che hanno vinto il premio Pulitzer 2020, hanno fatto il giro del mondo per il coraggio di 3 amici fotoreporter che a rischio della vita hanno voluto denunziare i soprusi di una regione come il Kashmir, spaccata in due tra India e Pakistan.

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Fotografo, laureato in Filosofia, giornalista pubblicista. Collabora con il quotidiano "La Sicilia".

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