Angelo Pitrone, il paesaggista che rubò l’anima a Sciascia
«La Sicilia – ha spesso ripetuto – è una miniera di immagini, pronte ad essere fissate da chi le sa trovare. Per chi è nato qui, l’isola è dentro ognuno di noi». E proprio gli scatti in cui Angelo Pitrone – agrigentino classe ’55 – ha immortalato i luoghi più suggestivi della sua Sicilia sono stati spesso usati come commenti figurativi alle opere di illustri autori quali Pirandello, Tomasi di Lampedusa e Sciascia. Durante la sua carriera Pitrone ha spaziato dal reportage – di grande impatto quelli sul problema della siccità nei paesi che si affacciano sul Mediterraneo e quello sul dramma delle migrazioni – fino all’archeologia – ha documentato diverse campagne internazionali di scavo in Libia – e alla curatela di cataloghi e mostre.
Numerose, sia in Italia che all’estero, dei suoi lavori. Molto interessante la mostra su Berlino dopo la caduta del muro: testimonianza di una città libera nel mezzo di una metamorfosi, in cui il passato convive col presente e con quello che sarà il suo futuro. Un brulicare di gru e cantieri, di palazzi sventrati e di vecchi muri anneriti.
«Lo specifico del fotografo è catturare frammenti della realtà, piccole schegge, quasi inesistenti. La macchina fotografica li registra, li certifica in vita. Come nel romanzo giallo, è il dettaglio che rivela il delitto». Un’idea di fotografia di cui lo scatto scelto per questa rubrica è un caso esemplare. Si tratta di uno dei cosiddetti “ritratti d’autore”, il cui soggetto è proprio Leonardo Sciascia. Scatti anni conservati dentro i cassetti, ma proprio per questo, afferma Pitrone, «hanno il destino di maturare, un po’ come il vino. Poi vengono tirate fuori dopo decenni e acquistano un sapore che magari non avevano all’inizio, magari erano un pò acerbe o legate alla cronaca». Appartiene a una serie di immagini che il maestro Angelo, allora trentenne, scattò a Leonardo Sciascia tra gli anni 1985 e 1989, anno della sua scomparsa. Un incontro che Pitrone, a distanza di trent’anni, ricorda ancora per quell’atmosfera così semplice e diretta che si riserva a un giovane familiare: lui, giovane fotografo alle prese con la “scrittura della luce” dinanzi al “maestro elementare di Racalmuto” (così lo presentò Italo Calvino nel 1954) che nel 1985 era già lo Sciascia intellettuale temuto e corteggiato dalla politica.
Le foto sono state realizzate nella casa di Sciascia alla Noce, nella campagna di Racalmuto, a Grotte e Agrigento. Spesso sono immagini private scattate durante l’estate in villeggiatura o in occasione di eventi culturali particolari. Spiega Pitrone: «Insieme ad una serie di ritratti dichiarati, in cui Leonardo Sciascia posa nella sua residenza di campagna, ci sono immagini di Leonardo con personaggi e amici, dal fotografo Ferdinando Scianna allo scrittore Manuel Puig, dall’attore Turi Ferro al regista Francesco Rosi, dallo scrittore Matteo Collura all’arciprete di Racalmuto Padre Puma». L’immagine ritrae lo sguardo di Sciascia un po’ malinconico, un po’ indagatore, un po’ inquieto che sembra interrogarci personalmente. Si può leggere tra le rughe una sofferenza misteriosa che avvolge il volto dello scrittore, una forma di attesa di qualcuno che sta per arrivare.
«Era una persona estremamente dolce e riservata anche in famiglia e con gli amici – ha affermato il fotografo agrigentino – ho avuto il privilegio di poter frequentare la sua casa, fortuna determinata dal fatto di trovarmi vicino territorialmente, a pochi chilometri dalla contrada Noce di Racalmuto, dove lui era nato e risiedeva». Tecnicamente la foto ha un forte contrasto, il mobile dietro lo scrittore è sfocato, la figura di Sciascia che guarda l’obiettivo si erge imponente a evidenziare la familiarità che vive l’autore della foto con il soggetto che abita la casa. Pitrone tiene a precisare che: «Riguardo ai ritratti, a differenza delle altre tipologie di fotografie, bisogna avere rispetto per la persona, verso il soggetto fotografato. Io sono sempre stato per la condivisione dell’immagine: il ritratto non nasce mai dal contributo di un solo autore, ma è un’opera condivisa tra il fotografo e il suo soggetto. In questo senso lui si prestava molto alla macchina fotografica».
Tutta la serie di foto dedicata allo scrittore di Racalmuto è stata esposta l’anno scorso ad Agrigento in una mostra dal titolo molto significativo: “Quasi guardandosi in uno specchio”.