Dalla pandemia alla crisi ambientale, dalla guerra tra Russia e Ucraina alla necessità di fonti alternative al gas russo: in un contesto in continua evoluzione gli uomini hanno bisogno di appigli certi e risposte rassicuranti. Per questo negli ultimi tempi sembra essersi riacceso l’interesse della gente verso le istituzioni della politica, nonostante permanga, di fondo, una certa dose di scetticismo. Nasce da qui la volontà della Scuola Superiore dell’Università di Catania, in collaborazione con l’editore Il Mulino, con il patrocinio di Rai per il Sociale, l’Assessorato dei Beni culturali e dell’identità siciliana e il Comune di Catania di organizzare, dal 27 al 29 maggio, un primo Festival delle Istituzioni. Tra gli ospiti dell’evento con Carlo Galli, editorialista de “La Repubblica”, politico, professore di Storia delle dottrine politiche nell’Alma Mater Università di Bologna e autore di vari scritti legati dal tema comune dell’interesse politico, con cui abbiamo discusso di attualità ma anche delle sfide che attendono prossimamente le istituzioni.

Il suo ultimo libro si intitola “Platone. La necessità della politica”: perché la politica è necessaria?
«Ci sono molti modi per definire la necessità della politica. Se partiamo da un riferimento alla mia ultima opera non posso che dire che la necessità della politica consiste nella sua consostanzialità con la filosofia. Nella Politeia (ndr: Repubblica) di Platone la politica non è solo uno strumento della filosofia, ma è l’atto conclusivo della prassi filosofica, è ciò che rende l’uomo veramente tale. Il vero filosofo è colui che ha il coraggio di uscire dalla caverna di ombre e illusioni e farsi uomo nel mondo concreto, sfruttando la politica come mezzo di autorità per imporre la stessa scelta di vita reale agli altri simili».

Lei ha detto che ci sono molti modi di intendere la necessità della politica. In che senso?
«La politica e le sue istituzioni non si scelgono come un prodotto in offerta al supermercato: esse nascono in base alle esigenze del tempo e si inseriscono sempre in contesti culturali definiti. Per esempio all’epoca di Machiavelli la politica era intesa come inesorabilità a cui adattarsi, qualcosa creata dagli uomini, ma non per gli uomini. Da qui la naturale origine dei conflitti nel tentativo di imporsi gli uni contro gli altri e la nascita del tribunato della plebe, visto come forma di istituzione migliore in quanto priva di veti. In età moderna la politica non è più questa, diventa necessaria per l’indispensabilità di garantire a tutti i naturali diritti alla vita e alla libertà e renderli diritti civili attraverso i limiti imposti dalle leggi. Nel XVII secolo con Hobbes la politica si trasforma in quel mostro che incute un certo timore reverenziale, il Leviatano che punisce il mancato rispetto delle leggi, che tutela la vita degli individui con la sovranità interna e la forza militare esterna contro i possibili nemici».

Ricorrere alla forza militare e, di conseguenza, alla guerra per tutelare la vita: non è una contraddizione?
«Sì, lo Stato moderno è contraddittorio e va contro natura in nome del capitalismo. Il ricorso alle armi è giustificato da un’istituzione primaria rispetto alla quale la politica diventa solo un sottosistema: il mercato. La naturalità dell’indole sociale dell’uomo lo porta a istituire delle relazioni commerciali prima ancora che politiche e in questo senso la politica si traduce solo nel bisogno di oggettività e leggi obiettive. Esse servono a porre un limite a quel pluralismo di idee che sta all’origine di ogni istituzione: la stessa democrazia non è sinonimo di pacifismo, ma frutto dell’indole rivoluzionaria degli uomini. Giungiamo così all’idea di politica di Schmitt come ineluttabilità, impossibilità di eliminare la conflittualità naturale di ogni processo costituente».

La politica quindi è qualcosa di cui non possiamo fare a meno?
«Esatto: la politica è anche tradizionalismo, l’uomo vi è dentro da sempre, incastrato in un groviglio che le istituzioni sciolgono per fare ordine con autorità gerarchica. In questo senso la politica diventa anche dovere di costituire un creato buono e giusto secondo l’ideologia cristiana».

E per chi non è cristiano?
«Questa domanda ne richiama un’altra: e per chi non è occidentale? Io ho parlato delle diverse forme di necessità politica nel mondo europeo occidentale, ma bisogna considerare che i valori non sono mai davvero universali, ma sempre riconducibili a una determinata civiltà e non esportabili con le bombe. Bisogna accettare il pluralismo di questo mondo».

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