Carlo Taglia, in arte Vagamondo: dalla vita on the road all’ “Etna Therapy”
Il viaggiatore blogger torinese, autore di best-seller su Amazon, racconta l’esperienza che lo ha visto percorrere oltre 200.000 km via terra e mare per tutti i continenti fino al suo nuovo progetto alle pendici del vulcano
«Dopo la maturità insieme a un gruppo di amici sono andato con una Panda in Andalusia. Ho provato una sensazione nuova di benessere e allora mi sono chiesto: perché non farne il senso della mia vita?» Iniziano così i 13 anni in giro per il mondo senza aerei di Carlo Taglia, in arte Vagamondo, il torinese classe ’85 da 220mila follower su Facebook e 39mila su Instagram, che viaggiando ha vinto dipendenze e malesseri. E ha pure imparato la storia, oltre le lingue. Era a Barcellona durante la repressione della polizia nei confronti dei catalani e in Zimbabwe durante il colpo di stato che rovesciò la dittatura di Mugabe. La Sicilia, che l’anno scorso in occasione della presentazione del suo ultimo libro aveva definito «Una delle isole più belle del mondo», è il teatro del suo ultimo progetto: Etna Therapy. Un corso di formazione che si svolgerà durante l’arco di una settimana di giugno nella villa Femminamorta di Carruba. Insieme a lui un ballerino coreano e un esperto di meditazione condivideranno conoscenze in diversi settori di natura olistica. Le adesioni, aperte martedì, si fermeranno al raggiungimento di 20 partecipanti, per un costo a persona che si aggira sui 500 euro.
33 anni e 73 paesi: quale ti ha lasciato il ricordo più forte?
«L’India. È uno schiaffo molto forte che ti apre gli occhi a 360 gradi sulle cose che diamo per scontate e capisci che i problemi sono nella nostra mente. Poi anche la Thailandia, dove ho praticato meditazione con un monaco: avendo fatto 8 anni di scuola di combattimento pensavo fosse una cosa da femminuccia. Mi sono dovuto ricredere: mi ha fatto guardare dentro ogni mia abitudine, ogni mio pensiero e ho preso più consapevolezza di me. Ricordo bene l’incontro con gli Himba, popolazioni tribali del Nord della Numidia: abbiamo ballato attorno a un falò e con i bambini ho cantato la colonna sonora del re Leone. La Numidia è uno dei posti migliori da cui vedere il cielo: avevo difficoltà a chiudere gli occhi».
Cosa metti nello zaino?
«Un cambio, tenda monoposto, sacco a pelo, scatolette di cibo, acqua e tappi per le orecchie: dormo in stazione, in pullman, in camerate con tante persone, in strada, dove capita. Ho il sonno leggero quindi per me sono molto importanti».
Qual è la difficoltà più grande che hai incontrato?
«La comunicazione tra culture più fredde ma soprattutto la solitudine, con cui venivano fuori i mostri che avevo dentro. Poi difficoltà pratiche: truffe, aggressioni, mafia filippina in Cambogia, mafia cinese in Cina e malattie, ma non assumo medicine da anni. In India ricordo una cucina piena di ratti che catturavo e liberavo nelle fogne; cobra lunghi due metri che trovavo sul letto; le scimmie che staccavano i cavi elettrici; il proprietario che voleva più soldi; i pastori che volevano il pizzo. In Africa invece è stata dura confrontarmi con le ansie che mi avevano trasmesso».
C’è parità di sessi nel viaggiare?
«La donna può attrarre più violenze sessuali però anche tante donne viaggiano da sole, soprattutto del Nord Europa. Io, nonostante i miei 13 anni di viaggi, le violenze peggiori le ho subite a Torino, a casa mia. Parliamo di quanto siano pericolosi il Sud America e l’Africa ma ci dimentichiamo delle cose che accadono a casa nostra».
È possibile viaggiare senza soldi?
«Io ho sempre lavorato, facendo una decina di lavori diversi in giro per il mondo: dalle collaborazioni con tour operator, ai massaggi thailandesi. In Svezia stavo nella foresta, in una comunità agricola di 20 persone: curavo l’orto, tagliavo legna, organizzavamo eventi e vendevamo le cose che facevano. Ci sono tanti modi di vivere. Il viaggio può essere economico, io spendo 15 euro al giorno, spesso molto meno. Tanta gente mi chiede come faccia, ma per me il lusso è vivere in Italia in città».
C’è qualcuno che ti accompagna nei viaggi?
«No. Ho fatto mezzo viaggio in Centro America con Christina, la mia compagna svedese conosciuta nella comunità agricola. Ma per me il viaggio è solitario».
È stato difficile autofinanziarti la pubblicazione dei libri?
«Non è stato facile all’inizio, avevo 5 in italiano. Ho deciso di provare tramite un sito web e alla fine “Vagamondo” è stato il più venduto del 2016 nella categoria viaggi in Italia. Hanno fatto seguito “La fabbrica del viaggio”, “Vagamondo 2.0” e “Vagamondo 3.0”. Mondadori e Giunti mi hanno offerto dei contratti ma ho rifiutato sia per restare libero sia perché il 10% del prezzo di copertina per me è un insulto: giro per il mondo, mi ammalo, rischio la vita».
Cosa consiglieresti ai ragazzi che vogliono avventurarsi come hai fatto tu?
«Fatelo immediatamente, è una straordinaria esperienza umana. Ma è molto importante essere positivi. La paura è veleno che ci mette in pericolo. Quindi se veramente tenete a qualcuno non scaricatagli le vostre ansie perché non aiutano, peggiorano. Sono arrivato in Sud Africa spaventato per le paranoie di amici e parenti: qui dopo la morte di Nelson Mandela è pericoloso per un bianco. Alla fine sono riuscito a non permettere alla paura di dilagare, anche perché più che paura di morire, ho un altro tipo di paura, che è quella di non vivere».