Cercare lavoro
in Sicilia: un’avventura
rocambolesca sotto
il “Minimum wage”
La sera prima di partire, dopo essere caduta nella tentazione di comprare il biglietto di ritorno direzione Sicilia, sapevo che in fondo sarebbe stata una scelta sbagliata. La prima settimana, però, mi sono sentita veramente felice.
Ritornare alle origini ha sempre un certo effetto. Sette giorni di puro relax: cibo, dormire fino a tardi; la comodità della macchina e la sensazione di sentirsi a casa. Da Londra, (sei mesi di vita molto dinamica, scandita dalla stessa routine: sveglia presto – Tube – lavoro – Tube – cena – letto), mi sono portata dietro alcuni retaggi, come quello di ripetere involontariamente “sorry” – per fortuna qui nessuno se ne accorge – “thank you” senza alcuna apparente ragione… e tanta, tantissima, stanchezza.
Seconda settimana. Il bel tempo, la vita rilassata e la cucina di mia madre, mi hanno ridato energia. La notte, però, ho iniziato a svegliarmi di soprassalto. Un pensiero era ricorrente: Adesso che non ho più un lavoro che faccio? Devo trovarmene uno. Una nuova (amara) avventura allora inizia. Le pretese lavorative sono molto basse. Scarico un’app, Infojobs, che mi ricorda l’amata Job Today londinese che mi ha permesso di trovare lavoro in mezza giornata e di avere un contratto a tempo indeterminato; 28 giorni di ferie l’anno; con pagamento ogni due settimane, mai arrivato in ritardo. Tra me e me, mi dico: non sarà lo stesso, qui non c’è lavoro. Proviamo comunque.
Il mercato lavorativo siciliano sembra orientarsi (ai miei occhi) verso i settori del marketing operativo (vendita “porta a porta”) e dei Call center. Per un attimo mi torna in mente il film Tutta la vita davanti di Virzì. Avevo circa 21 anni. Adesso ne ho 31 e le cose non sembrano essere cambiate. Senza nulla da perdere e da sperare, mi candido allora per diverse offerte lavorative negli ambiti prescelti. Ho scartato lavori come “spruzzatore di vernice, tecnico, elettricista, badante full time a 400 euro al mese, scrittore freelance di fake news”. Intanto il telefono inizia a squillare. Sarà che ho inserito nel mio Cv un’esperienza lavorativa all’estero, o probabilmente no, di fatto mi invitano a diversi colloqui conoscitivi.
Dal primo incontro lavorativo emergono dati al limite della dignità umana: la posizione prevede la vendita di carte di credito presso punti vendita strategici. Quaranta ore a settimana, compresi i weekend, per uno stipendio di 500 euro al mese (tre euro scarsi all’ora). D’impatto dici: lo stipendio non è male, ma devi includere le spese minime da sostenere per spostarti verso la sede di lavoro (circa dieci euro al giorno di benzina). Insomma: il guadagno per 40 ore a settimana, se tutto va bene, è di circa 300 euro; che al massimo ti aiuteranno a pagare l’affitto e a non mangiare per un mese.
Una domanda allora sorge spontanea: È possibile essere pagati 3 euro all’ora? Esiste un limite minimo di paga oraria? Eppure, a Londra c’è il cosiddetto “minimum wage” di circa 7.83 all’ora (per gli over 25 e per qualsiasi tipo di lavoro) che non può non essere rispettato.
Andiamo avanti. Secondo colloquio: “Call center per impianti fotovoltaici”: 300 euro al mese se avendo effettuato 80 ore di lavoro, si riesce anche fissare quattro appuntamenti per una consulenza gratuita”. Morale della favola: se non fissi quattro appuntamenti ma hai fatto 80 ore al mese, torni a casa con un budget inferiore a quello che avevi o che ti hanno prestato (i tuoi) per sostenere le spese durante il tuo primo mese d’impiego.
Ok. Così non può andare. Decidi allora di recarti in una agenzia interinale. Salve, posso iscrivermi alla vostra agenzia? Che politiche giovanili avete attive? Sono disoccupata e non riesco a trovare lavoro. Siete in grado di aiutarmi?. L’addetta alle Risorse Umane (meglio però usare la sigla HR in lingua anglosassone perché è più di tendenza) risponde: «Ormai tutto funziona online, Signora. Carichi il suo Cv e si candidi alle offerte lavorative di Suo interesse. Se il profilo sarà considerato idoneo, verrà contattata».
Sono passate quattro settimane dal ritorno. Adesso mi ritrovo davanti a due possibilità: continuare a cercare lavoro (di quelli per “accomodare”, perché di questo si tratta) o… il Reddito di Cittadinanza! Perché non ci ho pensato prima? È un’opzione allettante: ti pagano fino a un massimo di 750 euro; ti inviano proposte lavorative “congrue” al tuo profilo e i “navigator” (i nuovi impiegati dei CPI che stavolta avranno poteri soprannaturali) offriranno percorsi di formazione gratuita che ti aiuteranno a non startene a casa a tempo indeterminato. Dai, forse posso farcela.
La speranza stavolta è la prima a morire. La guida alla richiesta del sussidio recita: “Il richiedente deve essere residente in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo”. Che stupida. Perché non ho avuto la pazienza di aspettare? Ah sì, lo ricordo. Io volevo solo lavorare; conoscere posti nuovi e fare esperienza. Adesso che sono qui, che faccio? C’è qualche navigator pronto ad uscire dal ruolo di “elargitore di reddito di cittadinanza”? Qualcuno che possa aiutare un giovane a costruirsi un futuro in Sicilia? La valigia, intanto, l’ho nascosta sotto il letto. Non l’ho disfatta; per fortuna si può sempre tornare indietro.