Chi ha detto che Charlot è muto? Chaplin risuona in Sicilia a ritmo di jazz

Non solo attore e regista ma anche compositore. Il vagabondo più famoso del mondo traeva ispirazione da melodie che amava e spesso esordiva con frasi come “questa parte dovrebbe essere più Chopin” o “bisogna rendere questo momento più wagneriano”. Oggi viene riscoperto in tutto il mondo fino in Sicilia in chiave jazz

New York, 1925. Immaginate di passeggiare tra le insegne luminose di negozi, ristoranti, e sala da ballo. E che veniate attirati dalla musica proveniente da una piccola sala che al suo ingresso presenta un manifesto colorato: The Gold Rush di Charlie Chaplin. Serve meno di un dollaro per vivere le mirabolanti avventure del vagabondo dagli strani baffi e dal portamento ondeggiante. Entrate, la sala non supera i duecento posti e l’aria è pervasa dal fumo delle sigarette. Sullo schermo, in una tavola imbandita, il protagonista è intento a improvvisare una danza con due panini infilzati nelle forchette. Il sonoro non è stato ancora introdotto, ma la musica è riprodotta dal vivo da uno squinternato quartetto d’archi che riesce a dare valore a quei movimenti, sincronizzando i gesti con le note. Applaudite divertiti: il vagabondo non è muto, sta parlando attraverso la musica!

Catania, 2020. L’aria è fredda e una leggera nebbia nasconde parzialmente le luminarie per la festa della Santa Patrona della città. Deviate dalla via principale per perdervi tra i vicoli stretti e pieni di locali. E mentre camminate, siete affascinati da una musica che proviene dal “Cine Teatro Odeon”. Come un déjà vu entrate e vi trovate davanti le immagini in bianco e nero di quel buffo omino che ora vince, ora perde; corre, cade e si rialza tra le fragorose risate del pubblico. La musica non proviene dal grande impianto sourround presente in sala ma è eseguita dal vivo da Fabrizio Puglisi, pianista e compositore che scandisce perfettamente i movimenti del protagonista con i più disparati strumenti. Accade che “giochi” con la cassa del pianoforte per restituire gli effetti sonori e onomatopeici di una nave, o faccia uso di sintetizzatori, oggetti elettronici e persino giocattoli, mescolando generi e autori – Jelly Roll Morton, Fats Waller e lo stesso Charlie Chaplin – in una riuscita operazione dell’uso contrappuntistico della musica in chiave jazz.

CHARLOT “RITROVATO”. La riscoperta e la valorizzazione della componente musicale nei film di Chaplin si deve al compositore e direttore d’orchestra Timothy Brock, che a partire dal 1998 ha ricostruito la maggior parte delle melodie con protagonista Charlot per le esibizioni dal vivo dei film delle origini, e restaurato le colonne sonore dei titoli più celebri.
In diverse interviste, Brock racconta che «Chaplin traeva ispirazione da melodie che amava» e che spesso esordiva con frasi come «questa parte dovrebbe essere più Chopin» o «bisogna rendere questo momento più wagneriano». Durante la composizione di Tempi Moderni – aggiunge – «Chaplin disse al compositore David Raksin: “un po’ di Puccini andrebbe bene qui”!».
In Italia il lavoro di Brock è stato accompagnato dalla preziosa attività di restauro visivo promossa dalla Cineteca di Bologna, che attraverso la rassegna “Il Cinema Ritrovato” si è fatta promotrice di numerosi spettacoli dal vivo in cui grandi orchestre o solisti hanno “sonorizzato” i più celebri film muti di Chaplin. Proprio in collaborazione con la Cineteca di Bologna, anche a Catania per iniziativa dell’“Associazione Musicale Etnea” in collaborazione con il pianista, compositore ed improvvisatore Fabrizio Puglisi, il 2 febbraio scorso sono stati proiettati tre grandi successi di Chaplin del “periodo Mutual” – The Rink, Easy Street e The Immigrant -, in cui il valore della musica non è legata esclusivamente all’accompagnamento, ma anche al commento a immagini che appaiono ancora attuali, come le drammatiche traversate in mare dei migranti o il racconto delle difficili condizioni di vita nelle periferie.

CHAPLIN COMPOSITORE. Nell’epoca del muto, comprendendo l’importanza dell’accompagnamento musicale, Chaplin supervisionava accuratamente le musiche inviate dalle case di produzione a tutte le sale che prenotavano i film. Prima di inventare il personaggio di Charlot, Chaplin fece gavetta presso la compagnia teatrale di Fred Karno, presso la quale apprese gli elementi della slapstick comedy e della pantomima legati alla musica, insieme ad artisti del calibro di Eric Campbell, Albert Austin e Stan Laurel (che pochi anni dopo si sarebbe unito nel duo comico più famoso al mondo Stanlio e Ollio). Fu proprio Laurel a raccontare come nel corso di una tournée negli Stati Uniti, Chaplin portasse sempre con sé un violoncello e un violino «con le corde invertite, in modo da poter suonare con la mano sinistra, esercitandosi per ore. In quei momenti si vestiva sempre come un musicista, un lungo soprabito color fulvo con polsini e colletto di velluto verde e un cappello floscio». Quando a partire dal 1927 con l’uscita de Il cantante di Jazz  il cinema “scoprì” il sonoro , Chaplin continuò con la pantomima firmando le colonne sonore di capolavori come City Lights (1931) e Modern Times (1936), elaborando un nuovo linguaggio che attingeva all’uso onomatopeico del suono, sincronizzando meticolosamente alle immagini i suoi accompagnamenti musicali. Come scrisse  nella sua autobiografia, l’attore cercava sempre di comporre «musica romantica ed elegante, che fosse in contrasto con il personaggio vagabondo; un contrappunto di grazia e delicatezza, che esprimesse sentimento».

BOMBETTA, BASTONE E…VIOLINO! Pochi sanno inoltre che nel 1916, in collaborazione con il comico inglese di vaudeville Bert Clark, Chaplin fondò addirittura la Charles Chaplin Music Company, una casa editrice musicale «all’interno di una stanza in centro città – raccontò Chaplin – in cui stampammo duemila copie di due canzoni e composizioni musicali pessime». Il business non funzionò e chiuse vendendo tre copie: «una al compositore Charles Cadman, e due ai pedoni che per caso passavano dal nostro ufficio mentre scendevano le scale».
Eppure ciò che stupisce è come ancora oggi, che si tratti di grandi teatri o di piccole sale dai sedili posticci e l’odore acre di bibitoni e popcorn, alla visione del piccolo omino che racconta comicamente il tragico mondo dei reietti, il pubblico ride, ride tantissimo. E riflette, a ritmo di jazz.

 

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