«Ciao sono Mattia Labadessa»: il fumettista napoletano dell’uomo-uccello
Le sue vignette, seguite da più di 450 mila fan su Facebook, sono crude e semplici, a volte disarmanti, come l’angoscia che è quasi la coprotagonista, accompagnata sempre da un umorismo quotidiano, quello della vita. L’autore, ospite di Etna Comics, ci ha raccontato come è nato il suo personaggio e cosa rappresenta
Classe ’93, simpatia napoletana, studente dell’Accademia Di Belle Arti della città di Pulcinella, è l’illustratore e graphic designer dell’uomo-uccello che compare per la prima volta sulla sua pagina Facebook nel 2015. Da allora ben 3 libri, uno per ogni anno, tutti editi da Shockdom: Le cose così, raccolta di vignette e strisce; Mezza fetta di limone, la sua prima graphic novel; e Calata Capodichino. Le sue vignette, seguite da più di 450 mila fan su Facebook, sono crude e semplici, a volte disarmanti, come l’angoscia che è quasi la coprotagonista, accompagnata sempre da un umorismo quotidiano, quello della vita.
Perché questo nome?
«Semplice, è il mio cognome ma molti non lo sanno, anche perché è un cognome che non si sente facilmente».
È napoletano?
«Sai che non lo so? Non ho mai cercato informazioni. Magari scopro parenti importanti. C’è un Peppino Labadessa in America».
Il famoso zio d’America?
«Non credo, magari è un poveraccio (ride, ndr)».
Come nasce la tua idea?
«L’uccello è nato per caso: durante una serata di “svago” ho disegnato questo omino con il naso appuntito che sembrava un becco e così ho deciso di trasformarlo in un uccello. L’ho disegnato più e più volte finché è diventato quello iconico di oggi, semplice e immediato. La gente si è affezionata e anche io. Molti credono sia un piccione o un pollo ma è un pennuto random».
Ci racconti della tecnica che adoperi?
«La mia fortuna è stata che qualche anno fa presi un iPad e iniziai a lavorare con dita su touch screen con un’applicazione che si chiama Paper by FiftyThree. Qualcuno mi ha notato e hanno iniziato ad affidarmi delle commissioni. Allora mi sono detto: Cavolo! Riesco a lavorare come illustratore! Per 2/3 anni ho lavorato solo con le dita, pure i libri ho realizzato così. Adesso uso la penna su iPad».
Il contenuto è nichilistico ma i colori caldi. Perché?
«In realtà sono anche romantico: sono un uomo d’amore anche se non si direbbe. La scelta dei colori, come dello stile in generale, è volutamente minimal, legata agli studi di Graphic design. Non ci sono motivi particolari, l’importante per me erano i contenuti».
A tal proposito, leggendo qualche vignetta è facile immedesimarsi in L’assenzio, l’olio su tela di Edgar Degas. Come mai?
È un sentimento comune, il pubblico si sente parte delle vignette: siamo tutti esseri umani, vogliamo tutti le stesse cose ed è inevitabile ritrovarsi. Più riesci a rappresentare un’emozione e a trasmetterla, più sei bravo. Bisogna poi trovare le parole giuste, pure per la battute stupide. Tutto dipende da come ti esprimi.
Cosa rappresenta quindi Labadessa?
«La mancanza di senso della nostra esistenza. È questo il pensiero che tormenta il protagonista. Ci sentiamo tutti speciali ma in realtà niente di quel che facciamo ha senso. È tutto un gioco, pure questa intervista. Campiamo 100 anni senza dare senso alla nostra vita».
Vorresti vivere 100 anni?
«Io vorrei vivere in eterno, perché a questo punto mi piacerebbe riuscire a capire qualcosa in più dell’universo, per questo vorrei essere immortale. Mia mamma dice che si vive per restare immortale nella vita delle persone. Per me però non si vive nei ricordi degli altri: quando muori non è che poi stai nella testa di uno e fai Uh ciaooo!»
Progetti futuri?
«Come illustratore faccio diverse cose ma continuo a dedicami molto all’uomo-uccello. Ho due progetti tra le mani, due libri che prenderanno forma fra un po’: per ora ho corso, 3 libri in 3 anni».