Sono solo 140 i chilometri che separano la Sicilia dalla Tunisia. E questa vicinanza geografica è il motivo per cui buona parte della comunità tunisina in Italia è concentrata proprio in questa regione. La Sicilia e la Tunisia, d’altra parte, sono legate a doppio filo da una certa vicinanza storico-sociale: i cosiddetti Siciliani di Tunisia a partire dalla fine dell’Ottocento hanno portato le loro tradizioni nel Paese nordafricano, dove si sono mescolate a quelle locali. Al contrario, è proprio dalla Tunisia che oggi provengono numerosi migranti sbarcati sulle coste dell’Isola: dall’inizio dell’anno sono stati 3.996, tra di loro anche minori non accompagnati. Ma perché questa fuga dalla propria terra natìa? E in che modo la situazione socio-economica del loro Paese l’ha determinata?

«Il Referendum mina le basi stesse della democrazia, ovvero la divisione dei poteri»

Mahmoud, cittadino tunisino incontrato ai seggi di Mazara del Vallo

LE RAGIONI DELLA CRISI. Il 25 luglio dello scorso anno, Festa della Repubblica, la Tunisia è stata investita da un’ondata di manifestazioni: in piazza giovani e non, per gridare la propria rabbia contro il Parlamento e chiedere condizioni di vita migliori. I manifestanti ripetevano gli slogan della Rivoluzione: lavoro, libertà, dignità. Il Presidente Kais Saied (eletto ad ottobre 2019), la sera stessa ha congelato il Parlamento, tolto l’immunità parlamentare e sciolto il governo, appellandosi all’articolo 80 della Costituzione, governando attraverso l’emanazione di decreti presidenziali. Nel settembre 2021 Saied ha formalizzato questi pieni poteri (legislativo, giudiziario, esecutivo), attraverso l’emanazione di misure eccezionali prorogando la sospensione del Parlamento. A marzo 2022 il Parlamento è stato sciolto.

Foto © Gwenael Piaser

TUNISINI ALLE URNE. Lo scorso 25 luglio il popolo tunisino è stato chiamato alle urne per esprimersi attraverso un Referendum consultativo sull’approvazione o meno di una nuova Costituzione. «Personalmente ho votato sì – spiega Noureddine, all’esterno del seggio di Casa Tunisia a Mazara del Vallo – perché  in tutti questi anni non abbiamo visto nessun miglioramento, solo promesse. Un cambiamento è necessario». Ma non è detto che questa votazione possa essere risolutiva in questo senso. Il nuovo progetto costituzionale – che per il Paese rappresenta la terza Costituzione dopo quella post Indipendenza nel 1959, che ha segnato l’inizio della Repubblica e quella post Rivoluzione nel 2014 – è stato voluto dal Presidente Kais Saied e, sebbene mantenga alcuni articoli dalle Costituzioni precedenti, di fatto trasforma un sistema finora ibrido (parlamentare-presidenziale) in un sistema  presidenziale, con una divisione solo formale dei poteri esecutivo, legislativo e giudiziario. Ad esempio, il nuovo governo potrà essere scelto dal Presidente senza passare dall’approvazione del Parlamento; quest’ultimo avrà la facoltà di votare una mozione contro il primo, ma la procedura sarà molto più difficile. 

Votazione in un seggio a Bab Souika, Tunisi. Foto Giada Frana

IL FRONTE DEL NO. Aspetti controversi, che hanno alimentato un certo scetticismo tra i sostenitori del no. «Più che un referendum sulla Costituzione – sottolinea Mahmoud, ai seggi di Mazara del Vallo  –  questo ci è sembrato un voto sul gradimento di Kais Saied. Credo sia paradossalmente incostituzionale e che mini le basi stesse della democrazia, ovvero la divisione dei poteri. Tutto torna in mano ad un uomo solo al potere: è un ritorno al regime, al pre-rivoluzione. Inoltre il testo non fa riferimento alle tante minoranze presenti in Tunisia, così come non si affrontano in maniera chiara i temi legati ai diritti umani. Ma la cosa che più mi preoccupa è la negazione del diritto allo sciopero per diverse categorie, compresi i magistrati». Sulla stessa lunghezza d’onda lo studente universitario che abbiamo incontrato a Tunisi Achraf, il quale pur stimando l’attuale Presidente teme per il futuro della propria nazione: «Saied è una persona in gamba, ma cosa succederà se dopo di lui arriverà qualcuno che non ha a cuore gli interessi del Paese?».

«Non voglio che sia Ennahda a decidere di nuovo le sorti del mio Paese. Saied ha bisogno di tempo»

Amna, incontrata in un seggio a Bab Souika, nel centro di Tunisi

UNA MISURA PER CONTENERE ENNAHDA? Una parte dell’opinione pubblica ha visto nell’indizione del Referendum un pretesto per mettere all’angolo alcune forze politiche ritenute responsabili della crisi economica e dalla mala gestione della pandemia che hanno provocato una forte inflazione e una sostanziale diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie. A catalizzare molte di queste critiche è stato Ennahda, il partito islamista. «Non voglio che siano loro a decidere di nuovo le sorti del Paese – dice Amna, in un seggio a Bab Souika, nel centro di Tunisi -. Saied ha cominciato a cambiare le cose, bisogna lasciargli il tempo». I fautori del boicottaggio, invece, si sono opposti al Referendum sottolineando, oltre al rischio di autoritarismo, come si trattasse di un “referendum farsa” soprattutto per l’assenza di un quorum e per il fatto che l’ISIE, l’Istanza Superiore Indipendente per le Elezioni, di fatto non fosse indipendente, poiché i suoi membri sono stati scelti direttamente dal presidente.

VINCE L’ASTENSIONE. Quale che sia la ragione reale dietro il referendum, una cosa è certa: la sfiducia dei tunisini verso la propria classe dirigente. Testimonianza di ciò, è stata l’affluenza molto bassa alle urne: ha votato solo il 30,5% degli iscritti alle liste elettorali. Di questi, il 94,6% si é espresso per il sì, il 5,4% a favore del no. Essendo un Referendum senza quorum, la nuova Costituzione entrerà comunque in vigore. Ma che il 69,5% del popolo tunisino non si sia recato alle urne la dice lunga: «Sono disgustata dalla politica, non mi importa più nulla – afferma Saliha, casalinga, che ha deciso di non votare -. Tutto é aumentato: gli affitti, il cibo, ma i salari sono rimasti fermi : è un grosso problema. Come si può vivere?». Per una larga fascia della popolazione la priorità è riuscire ad avere una vita dignitosa. Con la disoccupazione al 16,1% nel primo trimestre del 2022, un debito pubblico in aumento dell’8,6% rispetto allo scorso anno e un’inflazione all’8,1%, la sfida rimane quella economica. Basterà un nuovo assetto istituzionale per rispondere a queste criticità?

Le interviste a Mazara del Vallo sono state raccolte da Pamela Giacomarro per L’altra Tunisia.

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