Fucina di giovani talenti capaci di sognare in grande, la città etnea tra gli anni ’80 e ’90 si meritò il fortunato soprannome. Ci sono oggi le condizioni perché fenomeni come i “Denovo” nascano ancora all’ombra del vulcano? Oppure la fruizione digitale ha messo definitivamente fine a quella fortunata stagione?

La Catania degli anni ’90, con la sua accesa scena musicale, è stata solo un mito? Un miraggio? E cosa rimane oggi di quell’immagine? A queste domande si è tentato di dare una risposta durante l’incontro “I suoni di Catania – Dalla Seattle del sud alla scena contemporanea” al Monastero dei Benedettini. «È a partire dal 1984 che i riflettori cominciano ad accendersi su Catania – ha spiegato il giornalista e moderatore Roberto Milone – quando i Denovo incidono il loro primo disco “Niente insetti su Wilma”. Poi tra gli ’80 e ’90 nasce il mito di Catania – “Seattle del Sud”, un’espressione che descrive uno scenario musicale oggi scomparso ma che rappresenta una gloria per la nostra città. Catania non ha espresso solo una scena rock con gli Uzeda, ad esempio, ma anche artisti come Dora Musumeci, Gianni Bella, Franco Battiato, i Lautari dimostrando negli anni di avere una personalità musicale molto forte».

NASCITA DI UN MITO. «L’anima musicale di Catania è sempre stata viva – ha spiegato il giornalista Gianni Caracoglia – ma durante la stagione d’oro del pop – melodico con i Beans è nata l’esigenza di una congiuntura nazionale, il bisogno di fare del buon rock’n’roll. Tutta la musica degli anni ’60 parte dai Beatles e dei Rolling Stones ma i Denovo hanno tentato di rinnovarla, fondendola con elementi più contemporanei post-punk e new wave: il rock più sotterraneo in quel periodo stava sperimentando nuovi linguaggi». È da questo fermento che nasce l’espressione “Seattle italiana”, un’ottima definizione giornalistica ma non totalmente fedele alla realtà secondo Caracoglia. «L’espressione accomunava due città di estrema periferia degli anni ‘90 dalle quali era emersa quella che venne definita “scena cittadina”. Seattle, nota per il genio assoluto di Jimi Hendrix, in quel periodo produce il primo album dei Nirvana e avvia i primi singoli della scena grunge, come i Soundgarden o i Mudhoney. Similmente forse si può dire della Catania dei Denovo o dei Boppin’ Kids, del gruppo psichedelico Flor de Mal e della Cyclope Records di Francesco Virlinzi, laboratorio molto innovativo che mette insieme l’America e la Sicilia attraverso il rock classico».

L’AVVENTURA DEI DENOVO. Di questo scenario magmatico i Denovo rappresentano la punta di diamante. «Catania era l’estrema periferia di un impero – racconta lo storico chitarrista e voce della band, Luca Madonia – e questo ci diede sicuramente la spinta per andare avanti. Io avevo 20 anni e a quell’età insegui il cuore e le passioni, lo dimostra il fatto che insieme a mio fratello Gabriele, Mario Venuti e Tony Carbone trascorressimo le giornate in cantina a suonare per il semplice gusto di fare musica». Look un po’ dark per stare al passo coi tempi, amore per la musica e il coraggio di osare, condussero i Denovo a classificarsi secondi nel concorso “Il rock italiano mette i denti”, subito dopo gli ancora sconosciuti Litfiba. «La mia ragazza di allora – prosegue Luca – mandò a nostra insaputa una cassetta con alcuni singoli a questo festival di rock italiano e incredibilmente veniamo scelti per la preselezione regionale a Palermo, vinciamo la semifinale e partiamo per Bologna dove ci classifichiamo secondi». Catania in quegli anni non è certamente una città vivace, il centro storico è blindato ed è difficile trovare un locale in cui si suoni musica live. «Per il nostro primo concerto abbiamo affittato il cine-teatro delle Rose a Canalicchio, abbiamo invitato gli amici e il successo è stato incredibile: avevamo calcato un palcoscenico e ci sentivamo dei carbonari, consapevoli di risvegliare quella passione per la musica che da sempre covava nel Dna catanese». Nel frattempo a Catania nasce la Cyclope Records e la parabola ascendente raggiunge il suo apice, ma è un breve periodo destinato a chiudersi nel 1995 con il concerto dei REM al “Cibali”.

LA SCENA CONTEMPORANEA. Sono passati quasi 30 anni e la situazione è nel frattempo profondamente mutata come spiega Daniela Marsala, frontman dell’alternative rock band Lamblessed e giornalista del Sicilian Post, che della storia del rock catanese si è occupata nella sua tesi di laurea. «Facendo parte di una band rock – ha spiegato Daniela – mi sono chiesta come mai oggi non ci fosse più aggregazione tra i gruppi catanesi. Un campanello d’allarme forse è che al crescente successo delle tribute band la scena si è semplicemente adattata con il conseguente declino delle original band. Non c’è stata una risposta in termini di creazione e promozione di quegli spazi di condivisione che hanno costituito il pilastro della scena musicale negli anni ‘80». Anche Paolo Mei, catanese d’adozione che da anni lavora nell’organizzazione di eventi musicali, è d’accordo sull’assenza di confronto tra chi fa musica oggi nella città etnea. «Oggi sono pochi gli artisti e i progetti musicali emergenti a Catania; inoltre è vero che gli spazi non sono tanti, ma non siamo capaci di riempire nemmeno quelli esistenti e, salvo rare eccezioni, i ragazzi vivono la musica tramite un computer. Tutto questo nuoce soprattutto ai giovani musicisti, perché la creatività si alimenta con il confronto e mantenendo un occhio sulla contemporaneità». Fortunatamente ci sono anche delle eccezioni come quella di Roberta Finocchiaro, chitarrista promettente che ha già avuto modo di dimostrare il suo talento in diverse occasioni. «Sono nata in una famiglia di musicisti – racconta – e ho iniziato a suonare con la mia prima band nel 2012. Nel 2014 ho avuto la fortuna di conoscere la mia produttrice, Simona Virlinzi, fondatrice dell’etichetta catanese Tillie Records che mi ha dato la possibilità di registrare due dischi, il primo a Catania e il secondo a Memphis negli studi di Sam Phillips, produttore di Elvis. So che a Catania è molto difficile emergere, ma continuo ad occuparmi di musica perché ne sento l’esigenza e non per desiderio di successo».

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